L'ombra dell'Urss sulla morte di Gramsci

I misteri sulla vita e sulla morte, soprattutto, di Antonio Gramsci di per sé rappresentano il prototipo dell'ideologia comunista così come la conosciamo: menzogna, mistificazione e violenza allo stato puro. Cominciamo dalla morte: anche il massimo esperto in materia da poco scomparso, Massimo Caprara, era convinto che Antonio Gramsci quel maledetto 27 aprile 1937 nella clinica Quisisana (quella che in seguito divenne di proprietà di Ciarrapico, archivi segreti compresi) non sia morto tra le braccia di una delle sorelle Schucht o di chi per lei ma possa essere invece deceduto per "suicidio". Attivo o passivo è ancora da capire. Di fatto ancora fino a pochi anni fa esisteva una testimone, Irene Quirico, figlia di uno dei medici di casa Savoia, che ai parenti e agli amici più stretti andò raccontando per anni, fino ai giorni più vicini alla sua morte (che avvenne a metà di questo decennio in corso alla tenera età di 103 primavere) che «quel giorno Gramsci si buttò dalla finestra». Che ne sapeva lei? Semplice era ricoverata insieme alla figlia Luciana nella camera attigua a quella di Gramsci. Assisteva la figlia Luciana dai postumi di un intervento di appendicectomia. A chi scrive così descrisse quella mattina: «Quel giorno vidi Gramsci giù nel cortile dopo il botto in seguito al quale mi affacciai istintivamente alla finestra della camera dove era ricoverata mia figlia». La signora ricordava benissimo il  convulso tramestio che seguì quegli attimi che ancora all'epoca le erano ben impressi nella memoria: «Il piantone venne dentro la nostra stanza di prima mattina e disse che si era suicidato Gramsci e che dovevamo andare tutti in un altro reparto dove in seguito venimmo ammassati insieme agli altri degenti per alcune ore. Le stanzone lì non avevano finestre che dessero sul cortile e così di quello che io avevo scorto non si parlò più. Poi, qualche ora dopo, ci dissero chiaramente che se avevamo visto qualcosa sarebbe stato meglio che ce lo fossimo immediatamente dimenticato se non volevamo avere grane». Va detto che la signora Quirico non ebbe mai il coraggio, anche dopo la fine del fascismo, di raccontare quella storia se non a un gruppo ristretto di parenti e  amici, che però quella storia non solo la conoscevano benissimo ma la davano per scontata avendola sentita ripetere molte volte. 

E c'è da credere che si temessero non tanto rappresaglie dai fascisti quanto quelle da parte dei comunisti. Sulle circostanze della morte di Gramsci quel 27 aprile 1937 nella clinica Quisisana, ufficialmente le carte parlano di emorragia cerebrale, in pratica un ictus, nulla è certo. Nessuno  svolse mai un'autopsia. Anzi la stessa mattina in cui Gramsci morì il corpo venne cremato e si svolsero i funerali a tempo di record. Esiste ancora in vita, e anche lei da tempo ha superato i cento anni, la sorella di quella unica teste della "morte alternativa" di Antonio Gramsci, ma anche lei non brilla per coraggio né per volontà di apparire come testimone storica di una grande menzogna. E probabilmente si porterà il segreto nella tomba. In compenso altri elementi di verità, pubblicati negli anni a spizzichi e a bocconi, fanno capire che qualcosa non è andato come ci hanno raccontato nei libri di storia del dopoguerra. 

E un esempio di ciò è contenuto proprio nel libro di Antonio Gramsci junior, nipote del de cuius. Ne I miei nonni nella rivoluzione è infatti presente un  passaggio che la dice lunga su chi fosse temuto nell'aprile del 1937 da Gramsci ben più dell'Ovra, la polizia politica di Mussolini. 

Si vada a pagina 102, ad esempio, dove si dice che Tatiana Schucht, la cognata, una delle tre sorelle tra le quali c'era la moglie Olga, passava amorevolmente le giornate a vegliarlo.

«Così  - si legge - era testimone  delle frequenti visite degli agenti del Nkvd che, con l'approssimarsi della liberazione del leader comunista, cominciarono a interessarsi vivamente dei suoi legami con i trockisti (sic, ndr) italiani». Un'attenzione che, vista la morte che Stalin fece fare a Trotzsky pochi mesi dopo, non poteva ovviamente essere delle più benevole. Ma è pensabile che agenti del Nkvd, che poi diventerà il Kgb, potessero andare e venire da quella clinica senza che il regime fascista nulla sapesse? E chi pagava la degenza in una clinica come quella a Gramsci? Una clinica che ieri come oggi è di super lusso?

La logica fa pensare due ipotesi: o Gramsci, sconvolto dalla pressione che si sentiva addosso, può avere compiuto un gesto estremo, ma questo cozzerebbe con l'operazione di cover up messa in piedi in fretta e furia dal regime mussoliniano che aveva tutto l'interesse a far sapere alla gente come e perché un eroe comunista dell'antifascismo fosse stato costretto dai suoi stessi amici all'estremo gesto, oppure che "sia stato suicidato" da quegli stessi uomini della polizia segreta di Stalin, perfettamente in grado  di compiere questo tipo di azioni così come, a  detta del nipote di Gramsci, erano perfettamente in grado di monitorarlo. 

E in questo caso si spiegherebbe anche l'operazione di copertura del regime fascista, che non aveva alcuna intenzione di fare sapere all'esterno come il sistema di sicurezza attorno a Gramsci, che il giorno della propria morte era da ventiquattro ore un cittadino libero, avesse fatto acqua da tutte le parti. Sicuramente esistono altri testimoni, sinora muti, di quel che successe quel mattino del 27 aprile alla clinica Quisisana e sarebbe anche ora che vincessero le proprie paure. Tutti i saggi e i libri su Gramsci stanno da tempo girando intorno a una certezza: Gramsci, prigioniero del proprio partito un po' come Moro fu prigioniero anche della Dc (e del Pci di Berlinguer e del partito della fermezza) nel carcere del popolo delle Br, una volta libero non aveva alcuna intenzione di recarsi in Unione Sovietica. E anzi, benchè fosse stato l'ideologo più duro all'interno del Pci sui sistemi di impossessamento dello stato borghese, magistratura e giornalismo in primis, da parte del partito, e ancora oggi l'ideologia dei post comunisti è imbevuta del gramscianesimo delle origini, appaiono sempre più di frequente lettere, finora tenute nascoste, che fanno capire come Gramsci volesse proprio uscire dal Pci che pure aveva fondato. Proprio il primo maggio scorso  su questo argomento il Corriere della sera ha addirittura pubblicato due pagine di Paolo Mieli (titolo Il diffamatore di Gramsci che fu arruolato dal Pci), che della vita di Gramsci è uno degli storici più esperti e meno propensi al nascondere l'immondizia sotto il tappeto. Solo qualche giorno prima era uscito un altro articolo, sempre sul Corriere, stavolta firmato da Antonio Carioti e intitolato Il triangolo amoroso di Gramsci, conteso tra le sorelle Schucht. Triangolo che dentro al ristretto ambiente degli interna corporis del vecchio Pci era un segreto di Pulcinella, come lo era il fatto che le sorelle in questione fossero state  informatrici forzate dell'Nkvd e come tali quando assistevano Gramsci alla Quisisana durante la degenza agli arresti ospedalieri in realtà svolgevano un doppio compito. Cosa inevitabile dato che entrambe avevano la famiglia in Russia, oltretutto. Insomma Antonio Gramsci odiava ormai il Pci di Togliatti e non si fidava più dell'Urss. Inoltre forse si stava avvicinando a Trotzsky. Ce ne era abbastanza per "suicidarlo". Ma quanto ancora dovremo attendere la verità sulla vita e sulla morte del fondatore del comunismo italiano? Purtroppo gli archivi del Pci sono ben più impermeabili di quelli del Vaticano.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:26