La vita di Aung San Suu Kyi

Dopo avere visto il film The Lady, basato sulla vicenda storica e politica di Aung San Suu Kyi e realizzato dal regista francese Luc Besson, è riaffiorata nella mia mente la celebre definizione di Benedetto Croce sulla libertà umana, secondo la quale nella modernità è sorta una nuova religione civile il cui fondamento è dato dal valore universale ed immortale della Libertà, declinata nelle sue diverse forme.

Nella prima scena del film, bello per la fotografia ed intenso per come racconta la vita di una donna coraggiosa che ha sfidato il potere ottuso e brutale della giunta militare che detiene il controllo assoluto sulla società Birmana, compare lei bambina, che saluta il papà nel giardino della loro villa. Il padre, un generale illuminato ed intelligente che era riuscito a rendere indipendente la Birmania dal Regno Unito e sognava di instaurare una democrazia nel suo Paese, venne ucciso quando la figlia era ancora una bambina. Aung, come mostra il film, rientra nel suo paese nel 1988, dopo avere vissuto a lungo in Inghilterra, e dove aveva compiuto i suoi studi filosofici ad Oxford, sposando uno studioso della cultura tibetana, il Professor Micheal Aris. Rientrata in Birmania per assistere la madre malata, assiste con orrore e indignazione alla violenta repressione attuata dal regime militare guidato dal generale Saw Maung, contro i cittadini Birmani che manifestavano pacificamente invocando libere elezioni. Invitata dal regime militare a lasciare il suo Paese attraverso una sottile e soffocante pressione psicologica, decide di costituire la Lega per La Democrazia in Birmania.

La sua casa si trasforma in un punto di riferimento per gli intellettuali ed i politici che si oppongono al regime militare. Presentatasi alle elezioni del 1990 in Birmania, con un messaggio improntato ai valori politici del liberalismo classico e basato sul ripudio della violenza, Aung San Suu Kyi vince le elezioni, il cui esito verrà annullato dalla giunta militare, per impedirle di assumere la guida politica del suo Paese. In seguito, divenuta un simbolo nel mondo per la sua battaglia in favore della libertà del popolo Birmano, ricco di storia e di una tradizione spirituale di grande valore culturale, Aun San Suu Kiy riceve il premio nobel per la pace nel 1991, che non potrà ritirare personalmente.

Infatti il regime militare, non essendo riuscito a farla rientrare in Inghilterra, decide di privarla della libertà personale, infliggendole la pena ingiusta degli arresti domiciliari. I suoi sostenitori, pacifici militanti nutriti di cultura occidentale e animati dall'ideale della libertà, vengono rinchiusi nelle carceri, torturati e sottoposti a ogni forma di mortificazione e di violenza fisica e psichica dal regime militare della Birmania. Aung San Suu Kyi, anche quando il marito si ammala in Inghilterra, dove vivono i suoi due figli adolescenti, temendo di non potere più rientrare in Birmania, nel caso in cui avesse abbandonato il suo Paese, decide di restare in Birmania e di continuare la sua lotta politica e culturale. Non potrà rivedere il marito morente, al quale il regime militare aveva negato il visto di ingresso in Birmania per ragioni pretestuose e i suoi amatissimi figli, da cui le dolorose circostanze della vita l'hanno separata.

Soltanto dopo venti anni di arresti domiciliari, nel 2010 il regime militare, che ancora ha il dominio assoluto sulla società Birmana, ha restituito la libertà politica e personale ad Aung San Suu Kyi, giustamente designata con la felice e poetica espressione di Orchidea di Acciaio per la tenacia e la forza del suo temperamento. Il film, davvero commovente e raffinato, si conclude con Aung San Suu Kyi che varca i confini del cancello della sua villa, finalmente libera, per salutare con un inchino i monaci buddisti che si sono radunati intorno alla sua casa. Un film che dimostra quanto sia vera la intuizione di Benedetto Croce sul valore supremo della libertà umana.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:10