![L'idem sentire di Mozart](/media/1380675/006_int.jpg)
Facile la battuta, "un flauto magico ma non troppo", per
descrivere gli eventi della prima della celeberrima opera di Mozart
che più di ogni altra descrive l'idem sentire massonico del grande
musicista. Dopo i due allestimenti fotocopia del 2001 e del 2004,
diretti dal bravissimo Gelmetti, stavolta è arrivato quello della
Royal Opera House. Con il regista David Mc Vicar a dare il meglio
di sé, lui sì riuscendoci. Conteso poi nel parterre dell'Opera
durante il consueto lunghissimo intervallo tra il primo e il
secondo atto. Tanto che è stato proprio il quotidiano del generone
romano Il Messaggero a sottolineare, nel consueto pezzo di costume
del giorno dopo, più la qualità degli astanti, da Giuliano Ferrara
ad Alberto Arbasino passando per Franco Bernabè, che quella dei
cantanti.
Ma che qualcosa potesse non andare per il verso giusto già alla
prima c'era sentore fin dall'inizio, ritardato di quasi mezz'ora,
per non meglio specificati problemi tecnici. Per non parlare dei
vistosi buchi di pubblico tra i palchi e anche in platea. Ma questa
magari è la categoria dello spirito della guerra preventiva dei
melomani ai nuovi allestimenti. Certo il sovrintendente Catello De
Martino, il direttore artistico Alessio Vlad e chissà, forse
persino il direttore onorario a vita Riccardo Muti, su questo nuovo
allestimento del "Flauto magico" ci devono avere puntato molto. E
magari non devono avere pensato che l'esecuzione molto lenta del
maestro Erik Nielsen avrebbe contrariato non poco quelli del
loggione che a un certo punto, verso la fine del primo atto, hanno
inondato con fischi e buuu l'immaginario un po' assopito del
pubblico. Anche le voci del tenore Juan Francisco Gatell e del
soprano Hanna Elisabeth Müller, cioè Tamino e Pamina, non erano
affatto entusiasmanti, diciamo passabili.
Eppure sin dall'inizio della serata, ancora prima di entrare nel
surriscaldato teatro dell'Opera di Roma, si notava quell'atmosfera
tesa dei grandi eventi di cui non si è sicuri che siano poi così
grandi. Come il cortese pressing di un capo ufficio stampa che
chiede al cronista se ha con se delle recensioni da mostrargli di
precedenti prime dell'opera, prima di consegnargli il programma di
sala. Piccole cose se vogliamo, ma che contribuiscono a dipingere
un quadro di insieme. Un attesa un po' angosciante di una ripresa
che per questo teatro lirico romano sembra essere sempre
rimandata.
D'altronde quando un ente siffatto, in perenne perdita economica,
si ostina a mantenere nel proprio board personaggi retrò come Bruno
Vespa e a tentare impossibili melange con neo arrivati al capolinea
della politica come l'attuale sindaco Gianni Alemanno, i risultati
non possono essere che questi. Gli abbonati, che sono il vero
zoccolo duro dell'impresa visto che rinnovano ogni anno a dispetto
di stagioni sempre molto discutibili, hanno ancora in mente le
polemiche con Muti di inizio anno. E alla fine di spettacoli
riusciti a metà come il "Die zauberflote" del 2012 si meravigliano
sempre di essere rimasti fedeli alla lirica. Pensando pure che
forse la profezia dei Maya per l'anno in corso riguardi proprio il
teatro dell'Opera di Roma.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:35