L’alfabetizzazione emotiva

Quante volte pensiamo o, meglio speriamo, che sia l’ultima volta che ascoltiamo una notizia atroce in cui una donna viene picchiata, violentata, uccisa e quante volte questa nostra speranza viene delusa perché il fiume di sangue sembra essere senza fine. Una fine atroce che purtroppo coinvolge troppe donne che hanno investito nell’uomo sbagliato che da amorevole compagno si è trasformato in carnefice. Una carneficina senza fine che declina la peggiore natura dell’essere umano che dimostra di non saper coniugare l’amore che rispetta l’altro e che ne garantisce la legittima capacità di scelta.

Scegliere di non stare più insieme ad una persona, scegliere di percorrere un’altra strada, di dare una svolta alla propria vita è un diritto che ha ogni essere umano e che è inviolabile anche solo attraverso ingiurie, aggressioni verbali o violenze psicologiche e tantomeno è inviolabile attraverso violenze fisiche. Scegliere vuol dire riconoscere a sé stessi la libertà di essere ciò che si vuole. 
Essere è il verbo da coniugare quando parliamo di sentimenti e di relazioni: sono, sei, siamo. Avere è un verbo che non ha nulla a che fare con l’essere in relazione con qualcuno: non rappresenta la condizione di reciprocità, di condivisione, di rispetto che sono alla base di un sentimento sano che unisce due persone.  

Il possesso domina la mente di chi si spinge oltre il confine dell’essere umano che si fa carnefice e la cui mente non tollera la perdita. Avere una relazione, avere una ragazza, avere una compagna, avere una donna coniuga il possesso, il controllo, il dominio e non contempla l’essere, non contempla la possibilità che l’altra persona viva indipendentemente dallo stare insieme.

Insieme con qualcuno vuol dire essere sé stessi condividendolo con l’altro. Essere non significa mettere al centro la condivisione, lo scambio e la reciprocità che creano le basi per sperimentare la bellezza del sentimento dell’affetto, dell’amore, dell’amicizia che nutre la mente e che ci fa stare bene, che ci valorizza per quello che siamo e che rispetta i nostri tempi, i nostri modi e le nostre volontà.

La libertà di scelta è elemento fondamentale che crea le basi per costruire un rapporto sano, virtuoso e che fa stare bene. Mettere confini alla nostra libertà è creare i presupposti per costruire un rapporto tossico, dominato dal possesso e che procura dolore. Dolore che arriva a trasformare il rapporto in una carneficina dove inevitabilmente entrambi i partner diventano vittime di un amore che non coniuga più la libertà e la vita.

La vittima sfregiata, insultata, violentata muore anche se non viene assassinata e perde la vita quando viene ammazzata. Il violentatore, il carnefice, l’assassino   muore come essere umano e incarna la brutalità, la carneficina e se pur resta in vita è comunque morto. Uno scenario che mortifica la natura umana che si palesa capace di brutalità sempre più trasversali e non appartenenti ad una categoria individuabile. I carnefici sono giovani, sono adulti, ignoranti e acculturati, ricchi e poveri, del nord e del sud. Uomini troppo spesso al di là di ogni sospetto e ritenuti essere persone “normali”. Uomini accomunati da un modo malato di vivere i rapporti, che si ergono a giudici di sé stessi e giustificano con l’amore qualsiasi privazione, prevaricazione e violenza.

Ma io ti amo.

Sono geloso perché ti amo.

Non posso vivere senza te, sei la mia luce senza te sono nel buio, tu mi devi aiutare, capire, devi capire che ho bisogno di te.

Frasi che solo apparentemente coniugano l’amore ma che nella sostanza valorizzano il possesso.

C’è un’urgenza emotiva che dobbiamo affrontare ed è affrontabile solo attraverso una educazione all’analisi e alla condivisione delle emozioni. Se provo rabbia, angoscia, invidia, se soffro perché gli altri non mi danno ciò di cui ho bisogno, ho bisogno di rimettere al centro il mio equilibrio emotivo che si è sbilanciato verso una visione egocentrica del sentimento che non mi permette di contemplare l’altro.

Oggi i fatti di cronaca ci dimostrano che c’è bisogno di un’alfabetizzazione emotiva che miri soprattutto ad educare le menti in formazione a narrare i sentimenti, a dare parola a ciò che sentono, a legittimare la condivisione anche delle emozioni negative come rabbia, aggressività, invidia che, se tenute dentro, diventano mostri che la mente non riesce a tenere a bada e che prima o poi trasformerà in azioni.

Azioni che hanno il colore del sangue, della sofferenza, della disgregazione, della disumanizzazione del sentire. Solo educando alla parola condivisa potremmo sperare di aiutare un giovane uomo a non far crescere dentro di sé il silenzio assordante che può essere riempito dalla rabbia, dall’odio, dal rancore.

In famiglia, nei centri sportivi, nelle parrocchie, nei centri ricreativi, a scuola ovunque bisognerebbe educare i ragazzi e le ragazze a parlare dei propri sentimenti, a dare dicibilità al proprio sentire. Certo questo comporta che ci siano adulti disposti e capaci di ascoltare!

(*) Psicoanalista e docente universitario presso Università di Roma Tor Vergata

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Aggiornato il 27 novembre 2023 alle ore 11:57