Il lato oscuro dell’animale umano: le tre scimmiette

Il caldo ormai è il protagonista di queste giornate estive che trascorrono lente al ritmo vacanziero e che ci impongono relax, riposo e dolce far nulla. Tra spiagge affollate, sentieri montuosi battuti, lunghi laghi animati, ecco che la stagione vacanziera ha preso il via. Via dalle città e dagli impegni. Di corsa verso il piacere in libertà. Tolta la cravatta, i tacchi, la ventiquattrore, indossate le infradito, calzoncini, legati i capelli, dimenticato il trucco, ecco che tutto assume un aspetto di leggerezza e spensierata sospensione. Sospensione che non è raggiungibile se si ha in mano il telecomando e se dal tubo catodico prende forma l’immagine surreale del ghiacciaio con la coperta. Un’immagine che subito porta la mente a riflettere su quanto stiamo vivendo e sulla direzione che sta prendendo la nostra esistenza. Un’esistenza che sempre più assume la forma di un paradosso. Paradossalmente evoluti, tecnologici e internauti abbiamo perso la bussola che ci riconduce verso una dimensione esistenziale che parte dal basso.

Che ce ne facciamo di tecnologie sofisticate se non riusciamo a fermare il processo del mutamento climatico che sta minacciando la nostra stessa esistenza? Esistenza che, inevitabilmente, è legata alla natura che abitiamo. Una natura stravolta dall’essere dotato di ragione e consapevolezza che si sta trasformando nelle tre scimmie che non vedono, non sentono e non parlano. Non vediamo ciò che continuamente la natura ci pone davanti agli occhi. Bendati di fronte all’immondizia che produciamo e che poi rimangiamo, sordi di fronte al grido disperato degli animali che rischiano di perdere il ghiaccio sotto le zampe, muti di fronte alla nostra stessa incapacità di proferire parola sulla tendenza umana autodistruttiva che prende sempre più corpo.

Come scimmie cieche, sorde e mute vaghiamo in un mondo di illusione dove la fa da padrona una delle tante canzonette che ci mettono allegria. Canzonette che ci anestetizzano e ci ricordano che l’importante è che “quello che hai messo nel rossetto mi fa effetto. Mi hai fatto un altro dispetto, lo fai spesso. E mi chiudo in me stesso e balbetto. Sì, ma quanto sono stronzo, mi detesto. Ma tu non ci resti male che ognuno ha le sue. Si vive una volta sola, ma tu vali due. Vorrei darti un bacetto, ma di un etto. Se ti va ne ho ancora una dentro il pacchetto”. Un pacchetto che ha il sapore di tutto e di niente. Un pacchetto che ha il sapore amaro della perdita del ragionamento e dell’esaltazione del “nulla”, del mito e del chi se ne frega che significato ha.

Basta un “rossetto” a dire tutto e a non dire niente e il gioco è fatto, il divertimento incalza, e chi se ne frega se non ci si capisce niente e se tutto è deciso dal pensiero che conduce oltre la realtà. Realtà rappresentata dal trio più cult del momento che coniuga tradizione e trasgressione e ci fa tutti felici e contenti. Felicità che impazza sullo spartito allegro che ha anche il sapore della nostalgia dei tempi che furono. Felicità che non fa rima con realtà, se apri gli occhi e tendi l’orecchio e hai il coraggio di proferire parola.

Parola che oggi non ha più il sapore del logico, del concreto, del propositivo per me, per te, per tutti noi, ma che ha il sapore dolce e amaro del superfluo, dell’apparente e del “liquido”. “Liquido” che scorre e non si ferma perché tutto deve andare tremendamente veloce, tutto deve trasformarsi ancor prima di formarsi: corre veloce il qualunquismo, il conformismo e l’illusionismo. Illusi che tutto si metterà a posto, che la natura farà il suo corso e che ognuno avrà la coscienza a posto. Illusi ma felici perché c’è sempre qualcuno che fa qualcosa per il bene di tutti in silenzio, in punta di piedi ma con forza, determinazione, competenza, saggezza e lungimiranza.

(*) Psicanalista

Aggiornato il 01 luglio 2021 alle ore 12:41