Giulia, Filippo e... Giacomo

Misera, invan le braccia
Spasimate stendesti, ed ambe invano
Sanguinasti le palme a stringer volte,
Come il dolor le caccia,
Gli smaniosi squarci e l’empia mano.
Or io te non appello,
Carnefice nefando, uso ne’ putri
Corpi affondar l’acciaro:
Odimi, a te favello
O scellerato amante. Ecco non serba
La terra il tuo misfatto, e invan l’amaro
Frutto celasti a la diurna luce,
Cui già di sotto a l’erba
Ultrice mano al pianto e al sol riduce
(Giacomo Leopardi)

Giacomo aveva conosciuto Giulia, il suo dramma, i suoi sogni infranti, l’irrazionale che l’ha depredata del suo ingegno, la sua vita scorsa via come il fiume eracliteo verso la foce del nulla eterno. Ma Giacomo aveva conosciuto anche Filippo, lo “scellerato amante”, quel suo dirupo ontologico e morale a mo’ di divisorio tra il volto innocente del fanciullo e l’oscurità profonda gemmata nel proprio animo.

Giacomo aveva conosciuto, descritto, plasmato, con parole e poesia, il dolore lancinante inferto da una lama mentre penetrava la carne di un corpo vivo e vitale, grondante energia, pulsioni e vocazioni. Giacomo aveva conosciuto Giulia e aveva conosciuto pure Filippo. Ovverosia colei che dietro la siepe ravvisò un infinito da cogliere e da amare e colui che non concepì un altrove al di là di un cespuglio e della sua misera finitudine. Giacomo ha da prima ammirato, poi si è rammaricato della fin troppo breve parabola terrena di Giulia, delle sue giovani illusioni spezzate da rabbiosi fendenti inferti dalla stessa mano che, in un’altra vita, l’abbracciava, l’accarezzava, la difendeva. Sì, la difendeva.

Giacomo forse ha colto nel fallimento umano di Filippo il suo riscatto. Perché mentre quel ragazzo ha visto la propria umanità letteralmente schiacciata da un fatale diniego, la vita di Giacomo si è sublimata anche in virtù di tanti piccoli drammi quotidiani. Giacomo e molti altri hanno compreso che nel quotidiano e, per certi aspetti, meccanico divincolarsi tra rimpianti, rimorsi,, battute a vuoto e rifiuti più o meno grandi, rimaniamo Noi, tesori preziosi, anzi, preziosissimi; esseri unici e irripetibili, colmi di senso e portatori di un desiderio di assoluto, un desiderio che non deve essere confuso con una forma di diritto, bensì come un qualcosa di sacrale intimamente connesso con la nostra essenza più pura, un qualcosa da coltivare in maniera sistematica con sacrificio e dedizione.

Giulia è morta ma vivrà nel ricordo di tutti coloro che l’hanno conosciuta anche dopo la sua scomparsa. Filippo è vivo ma è morto dentro. La colpa per quanto è accaduto a Giulia è soltanto sua. Non esistono colpe collettive: quando la responsabilità è di ciascuno allora non è più di nessuno. Diluire la colpevolezza non ci rende tutti rei, rende solo più difficile rintracciare la mano che ha impugnato quel coltello.

Aggiornato il 22 novembre 2023 alle ore 15:07