Omicidi e discriminazioni

Il Veneto, la loro terra, le piange in egual misura. Sono entrambe figlie di questa regione devota, tenace e laboriosa dove il cristianesimo – seppure declinato in una dimensione cattolica – pare assurgere a venature calviniste tanto è incardinato nella capacità imprenditoriale e artigianale dei suoi abitanti. Giulia Cecchettin e Vanessa Ballan sono state uccise da chi aveva proiettato su di loro una malsana capacità di amore, un amore scaricato a terra come pura forma di possesso e di “cosificazione” della donna per uso esclusivamente personale. Però, nel racconto che di queste due disgraziate è stato dipanato dai media e, ancor di più, proprio dalla rilevanza mediatica relegata alle due vicende, vi è stata una discrepanza notevole.

Qui viene facile menzionare La fattoria degli animali di George Orwell per cui l’uguaglianza a volte presenta delle increspature tali da modellare delle similitudini vieppiù somiglianti a delle vere e proprie discriminazioni. L’attenzione riversata a Giulia è stata di quelle socialmente rilevanti. Brava, bravissima, ragazza, figlia modello, sorella amorevole, fidanzata comprensiva (troppo, suo malgrado, con il senno del poi), a un passo da una laurea rimasta orfana per sempre. A lei le prime pagine dei periodici, gli speciali televisivi, la diretta video dei funerali, finanche l’uso strumentale delle parole, pronunciate all’indomani del dramma, da parte dei suoi familiari. Insomma, il male che si va a innestare in un’esistenza perfetta da parte del classico ragazzo di provincia divenuto, in virtù di una ben mirata descrizione ideologica, il frutto naturale del patriarcato ovverosia, più che una mentalità, una sorta di substrato culturale foriero di un “modus operandi” assai diffuso nella società italiana assoggettata al maschio, rigorosamente, etero e bianco.

Poi, come nella trama di un racconto ricco di colpi di scena, arriva l’omicidio di Vanessa. Però, come dire, quest’ultimo non riesce ad avere la stessa risonanza. Anzi, i giornali ne parlano per lo più nelle pagine interne, le copertine ne fanno giusto menzione ma il tutto pare un po’ più ovattato. E le motivazioni di tale discrepanza espositiva? Al netto di altre situazioni giornalisticamente (e cinicamente) appetibili – vedi la vicenda Balocco-Ferragni – ciò che distingue i due fatti di cronaca sono i vissuti delle vittime e dei carnefici. La vita di Vanessa – quella sentimentale almeno – non è stata liscia come una pesca. Non era laureata ma svolgeva il ruolo di commessa di un supermercato. Aveva un compagno e con lui aveva avuto un figlio, dopodiché il rapporto si era incrinato tanto che è subentrato un altro uomo. Esatto, un amante. Di nazionalità straniera. Mi pare kosovaro. E, al momento, sarebbe l’unico indiziato del fatto di sangue (gli avvocati ne hanno chiesto la scarcerazione, sostenendo che non ci sarebbe stata la confessione del delitto da parte del loro assistito, ndr). Sembra che l’abbia voluta ammazzare in quanto Vanessa lo aveva lasciato per tornare col suo fidanzato. Un ritorno, peraltro, sancito da una nuova gravidanza che, a questo punto, non verrà più portata a termine. Già, perché, a rigor di logica quello di Vanessa è un duplice omicidio (magari non per la giurisprudenza, di certo per un’evidenza ontologica), elemento che rimarca ancor di più la distonia con un’attenzione della pubblica opinione non all'altezza della gravità della vicenda.

Ora, il fatto che Vanessa non avesse avuto giustappunto una particolare formazione scolastica, il fatto che avesse avuto un amante, il fatto che poi quest’ultimo fosse anche straniero (e quindi per il “politcally correct” è una caratteristica da dissolvere nel racconto per evitare la minima suggestione di razzismo), il fatto insomma che Vanessa – per scelta o per destino – avesse avuto la vita che ha avuto, con tutte le imperfezioni tipiche di ogni legno storto, per dirla alla Immanuel Kant, conduce ad un corollario di indizi che, a pensar male, non rendevano l’omicidio della giovane un accadimento totalmente aderente ai canoni descrittivi di un certo paradigma socio-culturale usato non come espediente per illuminare un dato fenomeno, ma solo per asservirlo ai propri dettami politico-ideologici.

Aggiornato il 02 gennaio 2024 alle ore 12:44