“Vuoi riformare la giustizia? Sarai giustiziato”.

In Italia funziona così. E se qualcuno si era illuso che spostando l’asse del voto a destra qualcosa sarebbe cambiato in questi giorni ha avuto le risposte più eloquenti. Comandano sempre le procure, quelle più auto-esposte mediaticamente e politicamente, si intende.

Domina infatti una visione retriva e in malafede di buona parte della magistratura associata per cui se si osa mettere mano anche a piccoli – ma più che necessari – cambiamenti come l’abuso di ufficio o il concorso esterno in associazioni mafiose si viene immediatamente bollati come amici dei boss o dei colletti bianchi corruttori e tutto finisce lì.

Non illudiamoci dunque che finirà diversamente per la separazione delle carriere o per la responsabilità civile del magistrato per colpa grave. Riforme che non si vedranno mai, neanche con il binocolo.

La politica, che si ostina però a scegliere anche nelle compagini ministeriali gli elementi umani più discutibili, a quel punto è costretta alla marcia indietro determinata da un mix inestricabile di coda di paglia e di timore dell’ignoto. Che in realtà è più che noto: la reazione spropositata del partito delle procure che sogna di trasformare, e in parte ci sta riuscendo, l’Italia in una sorta di stato etico come l’Iran.

In tutto questo, come si diceva, votare a destra o a sinistra cambia poco: se i premier esordiscono come Rodomonti e poi arrivano alla fine della legislatura tremebondi come Fracchia o Fantozzi c’è poco da fare.

Come diceva Al Pacino-Scarface in una delle scene più riuscite: “Ehi amico io nella vita ho due sole cose, la mia parola e le palle? Tu ce le hai le palle?”.

Ecco, al di là della brutalità del paragone, i nostri politici “le palle” non ce le hanno. E anche la loro parola vale poco o niente.

Aggiornato il 19 luglio 2023 alle ore 20:30