La parabola di Berlusconi: intervista a Maurice Pascal Ambetima

Nelle ultime settimane un vento ancora più saturo di retorica sta girando intorno alla figura del presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi. L’ex capo del Governo sta affrontando una delle situazioni più delicate della sua vita privata. E per molti sembra che sia giunto il momento di riflettere pienamente e sinceramente – senza intonazioni romantiche o politicamente corrette – sull’intera vicenda umana e istituzionale dell’uomo più tormentato, più indagato, ma anche ossessivamente venerato degli ultimi tre decenni.

Un uomo, Berlusconi, rimasto da sempre in quella sorta di avanspettacolo permanente, che ha dissimulato i tanti aspetti della sua personalità, apparendo di tanto in tanto rinnovato. Una creatura monolitica, che in politica ha stravolto abitudini, costumi, cerimoniale. Rivolgo alcune domande su Silvio Berlusconi a Maurice Pascal Ambetima, dottorando in Diritto internazionale alla Sapienza e consulente editoriale.

Al netto di quanto sta accadendo ultimamente, sarebbe in grado di fare qualche considerazione complessiva sull’operato e sull’influenza di Silvio Berlusconi negli ultimi trent’anni?

Credo che Berlusconi, rispetto a molti altri interpreti conosciuti della nostra realtà nazionale, sia difficile da valutare in un senso “complessivo”. Mi spiego: sarebbe facile dire che Berlusconi è stato, per esempio, bravo o, contrariamente, cattivo. Il problema è che scadremmo nel dibattito poco serio che c’è stato negli ultimi decenni, che poneva le persone o totalmente in contrapposizione rispetto alla figura berlusconiana o, d’altro canto, del tutto a favore del Cavaliere di Arcore. Berlusconi può essere visto e analizzato sotto diverse prospettive. Su un piano imprenditoriale, onestamente parlando, non si può che riconoscere le sue innate qualità. Su un piano politico, diversamente, ha dimostrato di avere molti limiti. Per esempio, parlava molto spesso di “rivoluzione liberale”. Mi chiedo: c’è mai stata davvero? Ho anche una risposta: non credo proprio. Qualche riforma sarà anche andata in quella direzione. Per il resto, molta pubblicità: in quello era di gran lunga il migliore.

Come possiamo interpretare i momenti bui della carriera politica di Berlusconi? Le questioni private, i coinvolgimenti in indagini delicate, il presunto complotto della magistratura contro di lui?

Il presunto complotto è stato, per l’appunto, presunto. Io non sono mai stato uno di quelli che, guardando l’operato di Berlusconi, ha posto la propria attenzione su aspetti della sua vita privata. Non mi aspetto che un presidente del Consiglio sia eticamente perfetto nei suoi comportamenti “casalinghi”. Mi aspetto, diversamente, che un presidente del Consiglio si ponga dei problemi di opportunità quando intorno a lui cominciano a esserci molti soggetti che, evidentemente, potevano distrarlo e allontanarlo dai suoi impegni istituzionali. Ma lei può pensare che Berlusconi sia stato così ingenuo dall’avere intorno così tante persone con il potere di diffamarlo? Andare a parlare con gli omologhi europei quando la stragrande maggioranza dei giornali italiani rilanciava la lettera dell'’x moglie? Io credo che, in questo, il presidente Berlusconi abbia peccato di grande ingenuità. Se avesse continuato la carriera imprenditoriale e perseguito nell’organizzare i suoi incontri eleganti, non credo proprio che la notizia sarebbe stata d’interesse pubblico. Da presidente del Consiglio, invece, te lo devi aspettare.

Un aspetto fondamentale della vita politica e privata di Berlusconi è quello della sua comunicazione: come è cambiata nei decenni, dai primi discorsi televisivi al successo di TikTok?

Berlusconi è un uomo della televisione. Non so se ricorda il famoso discorso di Natale in cui prometteva la “certezza” di un lavoro. Berlusconi parlava dei sogni degli italiani. Indicava al popolo ciò che gli mancava e gli prometteva di mettere tutto a posto. Come si giungeva alla risoluzione del problema? Il contratto con gli italiani. Perché le persone si fidavano? Perché uno che era riuscito a diventare un imprenditore affermato a tal punto, superando mille difficoltà, non poteva non essere in grado di risolvere le “piccole” sventure delle persone comuni. Evidentemente, le soluzioni semplici, per problemi strutturali e rilevanti, non sono mai esistite. In questo, Berlusconi ha avuto un approccio “populista”. Col tempo, con l’evolvere degli strumenti della comunicazione, è rimasto un po’ incagliato in questa dinamica televisiva che va dall’alto verso il basso e verso il “feeling pop” con l’elettorato. L’unico elemento “pop” che è rimasto è l’insieme di battute sconce che si fa scappare tra una chiacchiera e l’altra, che oramai rimbalzano sui social come materiale goliardico. Altra trovata interessante è questo accostamento con il mondo animalista e le celebri foto con Dudù.

Cosa è rimasto di Forza Italia, e cosa succederà dopo che Berlusconi non ci sarà più? Chi potrebbe essere il suo successore? Renzi, Calenda o Meloni hanno una qualche chance di interpretare e accontentare l’elettorato dell’ex presidente del Consiglio?

Questa domanda è interessante. Non credo che, al momento, esista un vero successore di Berlusconi. Non esistono, infatti, tra gli attuali interpreti della politica, personaggi che abbiano le risorse, la modalità comunicativa e l’immagine che ha avuto il Cavaliere. Matteo Renzi, sebbene venga spesso accostato a Berlusconi, viene da una storia politica molto diversa. Nonostante impieghi tecniche di marketing politico per indirizzare il consenso nella sua direzione, credo che difficilmente l’ex sindaco di Firenze abbia i presupposti per parlare al pubblico dei liberali conservatori. Renzi è un “liberale sociale”, crede nell’intervento minimo dello Stato e nell’autodeterminazione individuale, non è un caso che abbia preso il 40 per cento con il Partito Democratico alle Europee del 2014. Quei voti, in un ipotetico partito di centrodestra e con quel messaggio politico, non li avrebbe presi. Per Carlo Calenda vale un discorso simile, anche se mi sembra che abbia l’intenzione di allontanare le proprie radici da tradizioni destrofile o sinistrofile. Giorgia Meloni stessa viene da mondi molto diversi, rispetto a quelli di Berlusconi. L'unico che, per un momento, mi sembrava avesse intuito qualche elemento della parte della retorica “qualunquista” berlusconiana era proprio Matteo Salvini, quando si trovava all’apice della popolarità e usava spesso la parola “buonsenso”. In conclusione, di Berlusconi ce ne è uno. Bravo o cattivo che sia.

Aggiornato il 27 aprile 2023 alle ore 11:13