Il rompicapo elettorale: la regola del vincitore

La Costituzione più bella del mondo? S’è fatta vecchia, direi. Tanto vecchiarella. Se la Politica avesse avuto un minimo di decenza, avrebbe dovuto restaurarla integralmente, come si fa con le opere d’arte, già dal 1992 quando la Storia fece fondere la Cortina di ferro spalmandola come inchiostro tipografico sulla matrice vittoriosa del capitalismo occidentale trionfante, di fatto snaturando così per sempre la natura cattocomunista della nostra Costituzione del 1948. La quale, oltre a concepire l’assurdità di un primo ministro inter pares (il quale, cioè, non può rimuovere i propri ministri, se non attraverso l’escamotage di finte crisi di Governo per dar luogo a rimpasti e alla nuova lista dei ministri, depurata dagli indesiderabili, a firma del Presidente della Repubblica), ha devoluto alla legge ordinaria la più sacra delle regole, che è poi quella elettorale, anziché fissare con molta più lungimiranza il vincolo dei 2/3 per la sua approvazione.

Non solo: oggi con una manovra di Palazzo (assolutamente legittima, a norma della stessa Costituzione che parlamentarizza l’individuazione delle maggioranze di Governo) da qualche mese a questa parte governa una maggioranza parlamentare ibrida, in quanto ideologicamente polimorfa, contraddittoria e incoerente, che è assoluta minoranza nel Paese, come hanno mostrato tornate elettorali recenti sia a livello europeo (e, quindi, nazionale, tra l’altro svoltesi con la regola del proporzionale puro!), sia quelle locali regionali.

Per non parlare dei sondaggi, secondo cui in brevissimo tempo, a causa del voto fluido (e lenticolare, dico io, in quando prevalgono interessi mirati, frammentari e contrapposti che rilevano dell’interesse particulare), si sono letteralmente ribaltati i rapporti di forza tra Lega e M5s, con la crescita progressiva e sistematica della destra di Fratelli d’Italia, grazie alla brillante leadership di Giorgia Meloni, che sta con i piedi ben piantati sui fatti, analizzati sempre con grande competenza. A oggi, se si dovesse votare con qualunque sistema (e soprattutto con il proporzionale puro temperato da una soglia di sbarramento al 5 per cento), con ogni probabilità Lega e FdI conquisterebbero facilmente la maggioranza degli eletti in Parlamento. E qui, voglio sottolineare, si apre un roseto di spine per la ministra Luciana Lamorgese e, prima ancora per gli italiani, a causa di questa Costituzione senescente. Già, perché a seguito dell’esito del referendum confermativo sulla riduzione del numero di parlamentari, occorrerà mettere mano alla ridefinizione dei collegi, tenendo poi ben presente la questione dello squilibrio post–riforma che si verrà a creare in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica tra grandi elettori nominati dalle Regioni e Parlamento a Camere riunite, in quanto il presente rapporto è definito a partire dal numero attuale complessivo di deputati e senatori. Quindi, una cosa è chiarissima a chi tiene alla poltrona più che alla propria coerenza politica: in caso di vittoria scontata del “Sì” al referendum, una qualsiasi, successiva crisi di governo porterebbe diritti filati alle elezioni anticipate con un numero ben più ridotto di seggi disponibili.

Con le conseguenze che tutti possono immaginare a causa del vorticoso, frenetico cambio di casacche che riguarderebbe, in generale, sia la sinistra-centro di Italia Viva e Leu (con il Pd che farebbe da attrattore e da assopigliatutto, attirando altresì nelle sue fila una robusta quota di grillini), sia la Lega verso cui confluirebbero la parte residuale dei Cinque Stelle che non si ritrovano con la sinistra e i “rametti” del centrodestra, non escludendo la convergenza nei suoi ranghi anche di una quota di ex berlusconiani legati a Denis Verdini, uno che non perde mai qualunque sia il cambio di clima politico di cui ama fare talvolta la mosca cocchiera. La follia del sistema politico, ormai completamente impallato e prigioniero senz’anima dell’instant-politics dei tweet e delle rodomontate via social in cui si dice di tutto e il suo contrario, è quello di stringere un accordo che tra più diversi non si può per la reintroduzione del proporzionale con soglia di sbarramento, quando il Pd, in particolare, rivendica il ritorno del bipolarismo sinistra–destra destinato a distruggere in nuce qualsiasi processo di aggregazione a un centro inesistente, che dovrebbe fare da terzo incomodo nella formazione dei futuri governi.

Tra l’altro: quando si ragionerà guardando oltre l’orticello di casa nostra, per l’introduzione del presidenzialismo alla Charles de Gaulle che ci permetterebbe, finalmente, di prendere decisioni univoche per stare al passo con i Paesi occidentali emergenti? E Dio ci guardi se dovessero comminare una condanna penale a Matteo Salvini. Non è bastato il precedente di Silvio Berlusconi con tutte le ricadute del caso?

Aggiornato il 07 febbraio 2020 alle ore 14:03