Una storia d’infinita sudditanza

Forse quel meraviglioso libro che è La Storia Infinita del purtroppo scomparso Michael Ende, dovrebbe essere riletto da chi organizza “Atreju”. Forse andrebbe compreso che il giovane guerriero che nella versione italiana del romanzo è Atreiu, il Cavaliere del Fortunadrago Fùcur, che combatte l’avanzata del Nulla e il Gmork suo vessillifero oscuro, è qualcos’altro da ciò che pensano in Fratelli d’Italia.

Vado dicendo da anni che la destra italiana, in massima sua parte, è gravata da un’assenza culturale di peso, benché possa vantare nomi eccellenti che sono sempre, comunque, tenuti ai margini a vantaggio di alcuni altri allineati ma non altrettanto di valore. La kermesse romana appena conclusasi ancora una volta ha dimostrato che, oltre ad ogni disinteresse culturale – lasciamo stare il banale riferimento alla sfida alle stelle futuriste che è soltanto retorica fuori tempo – esista ancora, e perseveri una vera e propria “sudditanza culturale” alla sinistra di governo.

Chissà perché devono (non dico “dobbiamo” perché chi scrive in questa destra non si riconosce più da tanto tempo) sempre dimostrarsi più “realista del re”, democratici, aperti, disponibili e tolleranti, insomma “buonisti” con coloro che li disprezzano, li avversano e se ancora potessero (così come è evidente con il caldissimo caso del professor Marco Gervasoni, epurato dalla Luiss per aver liberamente espresso il proprio pensiero) attuerebbero liste di proscrizione e deportazioni forzate.

La destra di FdI vuole dimostrare a tutti di essere “aperta al dialogo” dimenticando che “dialogus est diabolus”, che per dialogare bisogna essere alla pari e non mostrarsi inferiori. È il vecchio stigma che marchiò Alleanza nazionale che ritorna sempre da Fiuggi in avanti. La progressiva e costante eliminazione di simboli e “miti” dalla struttura formativa della destra, la soppressione sistematica di tutto quell’apparato “trascendente” che ha caratterizzato la mia generazione, sostituito oggi da una progressiva materializzazione che ha dimenticato il Cavaliere del Graal per preferirgli il fante e l’ardito della Grande Guerra.

Se resta dunque qualcosa, e sono certo che ci sia, di una Cultura con la maiuscola, di “destra”, non va certo più cercata nelle istituzionali file di FdI ma altrove, fuori dai circuiti familiaristici e tesserati, in ambienti che la stessa “destra” rifiuta e rinnega. Dobbiamo ancora ricostruire, e spero avvenga presto da parte di coloro che, liberali, conservatori, sovranisti, hanno ancora il “ben dell’intelletto”, quello del ghibellino Dante e non quello dei servi di un mondo senza più Eroi.

Aggiornato il 23 settembre 2019 alle ore 11:05