Fenomenologia di un Ministro della Cultura

Mi voglia perdonare chi mi legge se questa volta mi sono esteso più del solito nello scrivere, ma era necessario, non volendo poi riprendere l’argomento in quanto il gioco è sempre lo stesso da decenni, dall’ultimo dopoguerra senza dubbio, e nel gioco cambiano le pedine ma non la strategia di chi le muove nell’ombra.

La rielezione di Dario Franceschini al Ministero dei Beni culturali è parte integrante e fondamentale di questa strategia che mira ad occupare uno dei nuclei del potere, dell’economia e non solo, di questo Paese: la Cultura con le sue declinazioni nelle arti, nella storia, nel turismo e nel buon vivere.

La sinistra, sin dai tempi di Antonio Gramsci questo lo ha capito benissimo e lo ha applicato sistematicamente, con precisione infaticabile e metodo, nell’occupare letteralmente – e facilmente – pressoché l’intero settore. Ultima testa di ponte, quasi perfetta per l’operazione, è appunto il novello già Ministro dei Beni culturali, da Ferrara, che lungi dall’essere un incompetente, sa benissimo come agire e dove meglio far leva per conseguire i risultati preposti. I presunti e tanto sbandierati risultati ottenuti da lui nella legislatura antecedente questa appena caduta, sono in effetti la dimostrazione dell’operazione studiata e attivata a tavolino per ottenere una vera e propria “svendita” del patrimonio culturale e artistico italiano. Franceschini è abile in questo, inutile negarlo, molto più di tanti altri perché ha studiato, ma va detto sempre e mai dimenticato che la facilità di vittoria in questo gioco sottile, occulto, non subito palese a tutti, è stata data anche dalla totale assenza e dall’ignavia, sempre nel campo della Cultura, da parte della destra.

“Cultura”, parola obliata e pressoché negletta da chi fa della politica il proprio mestiere, perché non porterebbe voti, tant’è che in alcuni comuni, in un recente passato, alcuni assessori di destra neoeletti, hanno preferito rinunciare alla carica relativa ad essa. Parola – “cultura” – polimorfa e fluida, evanescente, ondivaga e mercuriale, che si adatta ai desiderata di quel momento del candidato in questione, dimenticando la sua vera essenza. Ci domandiamo quanti tra coloro che ne vanno parlando abbiano, nell’ultimo anno – per fare un mero esempio – visitato una mostra importante, un museo o partecipato a un convegno su temi culturali? Quanti avranno scritto un saggio su argomenti che riguardano, appunto, la Cultura? Quanti tra loro saranno stati a teatro o ad un concerto? Una cultura – quella italica ed europea – che ha almeno quattromila anni, ma viene ridotta a un parziale riconoscimento che ammonta ad un secolo fa circa.

La destra attuale si ferma al Fascismo senza nulla sapere oltre questo fatto storico, né interessarsi delle radici reali che affondano nel tempo più remoto. Questo quando ovviamente non assistiamo a qualcuno che confonde amabilmente Rinascimento e Risorgimento! Dimenticando così che lo stesso milieu fascista aveva le sue fondazioni culturali – e cultuali – nel mito della Roma Imperiale.

Gli angusti limiti di conoscenza di una certa destra italiana si vedono quando si vuol ritrovare una categoria politica “di destra” anche in artisti che certamente ad essa vanno ascritti ma non da essa limitati. Basti pensare al caso del Movimento Futurista, da troppi riesumato a sproposito e da troppo pochi veramente conosciuto sino al caso meno noto, ma più interessante, che fu il “dadaismo” di Julius Evola. Sono poi ancor meno coloro che saprebbero ricollegare ad una visione “di destra” quel movimento che prese il nome di Realismo Magico con artisti del calibro di Ubaldo Oppi, in quanto fenomeno artistico poco noto al grande pubblico. Ci piacerebbe sapere quanti tra i vessilliferi della “cultura di destra” conoscano l’operato di un genio assoluto come Armando Brasini, invece di citare pappagallescamente l’opera di Piacentini. Quindi il problema sull’arte “di destra” risiede forse non tanto in quella che si potrebbe definire “non conoscenza”, che è spesso congiunta ad un vero e proprio disinteresse all’argomento, quanto nel fatto che colui che osserva un’opera d’arte alle volte vede soltanto ciò che sa.

Qualcuno un giorno ha detto che i Futuristi sono “di destra” ed ecco che il politico di turno – il più delle volte non propriamente competente in materia, sia detto senza acrimonia – vede ciò che “di destra” vuol vedere in un’opera del movimento di Balla e di Boccioni. Platonicamente, l’azione del conoscere dovrebbe essere precedente al ri-conoscere, ma ciò non avviene sempre.

E gli artisti, i pittori e gli scultori contemporanei di destra? Non c’erano? Sì, ci sono sempre stati, ma non in quanto tesserati o militanti perciò la “destra” non li ha riconosciuti. Sono infatti tali tutti quelli che hanno creato l’arte classica, antica e poi quella medievale, quella rinascimentale, quella barocca; sono i romantici, gli idealisti sognatori dell’Ottocento, i simbolisti; sino ai nostri giorni sono tutti coloro che hanno fatto arte e cultura ben sapendo che essa non è “di destra” perché appartenente ad uno schieramento politico ideologico, ma è “di destra” in quanto appartenente a quella categoria dello Spirito che infonde la materia e che deriva pertanto non già da una collocazione in un parlamento, ma da una suddivisione cosmica del creato.

La “destra” è quella che nasce non nella Rivoluzione Francese, ma eoni prima con l’axis mundi che unisce il mondo dell’uomo con il Divino. Troppe volte poi si è voluto cercare d’imitare, da destra appunto, proprio quei movimenti e quelle esperienze artistiche che, seppur allora valide, si sono esaurite; ignari del fatto che l’unica arte contemporanea è sempre quella eterna tramandataci dalla Tradizione. Fidia, Prassitele, Botticelli, Cranach, Caspar Friedrich sono i nostri artisti contemporanei, non gli imitatori di Boccioni.

So che l’argomento, anzi questa tesi non solo mia ma di tanti altri, irrita soprattutto nelle alte sfere politiche, ma è indubitabile il fatto che per decenni, e ancora adesso, alle forze “conservatrici” oggi “sovraniste”, dell’arte, della Cultura e di tutto ciò che esse comportano non è mai importato nulla. E i pochissimi che oggi cercano di recuperare il divario, non hanno né le competenze né le capacità e spesso impediscono il fare di chi sa fare, tant’è vero che poi gli stessi “rivoluzionari” falliscono ogni volta.

La sinistra, coadiuvata per molti anni, prima dai servizi dell’allora Unione Sovietica e poi dalle forze economiche sorosiane e simili, ha creato il monopolio e il controllo dell’arte in questo Paese, ha formato intere classi dirigenti poste poi a controllo dell’editoria, nel teatro, nel cinema e nel settore musicale oltre che nelle cosiddette Belle Arti. Gli americani, con la Cia, stavano dall’altra parte, ma entrambi hanno utilizzato gli stessi metodi non convenzionali per prendere il potere attraverso la cultura.

E la destra? Silente, inerte, occupata soltanto ad autocommiserarsi, ad autoelogiarsi, a credere che il mondo dell’arte cominci con il Futurismo e finisca con Sironi. Troppo poco, sappiatelo. Se la sinistra domina è colpa di un’incapacità culturale da parte di chi fa politica dall’altra parte, ecco perché adesso, nuovamente, rimetteranno mano all’unica nostra inesauribile ricchezza: l’arte e la storia, ma non sarà per farci vivere meglio.

Aggiornato il 06 settembre 2019 alle ore 10:33