Il partito di chi sta con Marchionne

Mentre Sergio Marchionne, il top manager della Fiat-Fca che tutto il mondo ha applaudito, giaceva in fin di vita, si sono susseguite una serie di prese di posizione, anche scomposte, sulla sua azione industriale e soprattutto sul suo piglio imprenditoriale e la sua formazione politico-culturale. La linea dura tenuta con la triplice sindacale, la rinuncia a restare in Italia, hanno messo il manager in pullover nel mirino delle forze politiche socialiste e nazionaliste, di destra e di sinistra.

Marchionne ha invece salvato la Fiat senza aiuti da parte dello Stato italiano. La sua azione ha moltiplicato fino al 1000 per cento il valore delle azioni e la famosa “italianità” l’ha esportata lui più di tanti radical chic e politicanti che non gli hanno risparmiato critiche al vetriolo, perfino in punto di morte. Col suo genio imprenditoriale, ha conquistato quote di mercato negli Usa e, proprio a ridosso di una delle più aggressive crisi economiche a livello globale, nel 2009, con l’acquisizione e la fusione strategica con Chrysler in Fca si è guadagnato il rispetto di numerosi capi di Stato; ha fatto gli interessi della sua azienda, dei suoi azionisti e dei lavoratori, facendo riconquistare al marchio Fiat prestigio e onori in tutto il mondo.

Tutti quelli che considerano Marchionne uno speculatore e uno spregiudicato avventuriero dovrebbero stare politicamente da una parte e chi, invece, lo considera un grande manager illuminato dall’altra. Invece in Italia sia certa sinistra che certa destra ragionano allo stesso modo, sono statalisti allo stesso modo e contaminano in negativo tutto l’arco costituzionale. Questo è uno dei grandi problemi politici irrisolti che abbiamo. La vita del nostro manager abruzzese si è intrecciata con la storia industriale del nostro Paese, ma può, deve e merita di imprimere ora anche una svolta politica.

La morte improvvisa di Marchionne impone una riflessione e deve generare un sussulto, quantomeno contribuire a fare chiarezza nel nostro contorto quadro politico, oramai privo di punti di riferimento culturali e chiari connotati ideali. Non possono esserci alleanze tra forze politiche, o peggio iscritti allo stesso partito, che hanno avuto di Sergio Marchionne una visione opposta, perché questa contraddizione continuerà a rallentare e confondere la linea politico-economica, fiscale e industriale di questo paese.

Non può esserci comunanza politica tra chi ha considerato Marchionne un “padrone” che ha fatto perdere all’Italia la più grande industria automobilistica europea, calpestando i diritti sindacali imposti dalla Triplice e chi invece mette, semmai, sotto accusa lo Stato italiano, la sua oppressione fiscale e burocratica e la linea anni Cinquanta dei suoi sindacati e le sue associazioni parastatali e corporative, compresa Confindustria, che fanno scappare le imprese e mortificano la creatività dei nostri imprenditori.

Non può non essere fonte d’ispirazione politica la lettera che l’amministratore delegato del Lingotto scrisse a Emma Marcegaglia nel 2011 con la quale, proprio in dissenso con le politiche sindacali, decretò l’uscita di Fiat dalla principale Confederazione delle imprese italiane con un addio coraggioso e liberatorio. Chi ha considerato Marchionne un grande italiano e un grande manager che, senza chiedere ulteriori salvataggi a spese dei contribuenti, ha portato alto il tricolore per il mondo intero, dimostrandosi lui sì un patriota e un liberale, ha una visione politica e una cultura economica letteralmente opposta a chi pensa il contrario.

L’esperienza umana e professionale del grande manager abruzzese e canadese deve essere l’occasione giusta per una profonda riflessione e per ricomporre il quadro politico, separando definitivamente i liberaldemocratici dai socialisti, dai nazionalisti e dai sovranisti.

(*) Presidente Sos Partita Iva

Aggiornato il 26 luglio 2018 alle ore 13:15