Controcorrente

Tutti contro Matteo Renzi? Allora, fate attenzione: gli italiani votano anche a dispetto, meglio ricordarselo. Soprattutto, poi, se il fiorentino - da bravo tribuno - dovesse accelerare sulla sacrosanta critica all’establishment, sottraendo ossigeno al Movimento 5 Stelle e agli eredi di Achille Occhetto. E lo potrebbe fare prendendo spunto intellettuale da un’accorta rilettura del recente libro di Federico Rampini, sul tradimento e le menzogne delle élite filo-Clinton e Bremain, che hanno portato alla vittoria di Donald Trump e dato corda lunga ai populismi europei anti-Ue e ai sovranisti di casa nostra. Un’altra balla stratosferica è rappresentata dal calo degli iscritti al Partito Democratico, del cui allontanamento sembra non abbia risentito in nulla il voto del 4 dicembre, visto che nei numeri il 40 per cento pro-Matteo delle scorse elezioni europee è stato riconfermato dalla recente occasione referendaria. Ma mi viene da dire anche un’altra cosa: e se Renzi guardasse a Schultz? Che, poi, sarebbe l’immagine speculare italiana di se stesso. Come si spiega la sua risalita ai vertici del gradimento pre-elettorale dei tedeschi, in base agli eterni, tirannici sondaggi che poco spiegano e mal ci azzeccano? Con la giustificazione, forse, di un errore di apprezzamento? Tutte domande per ora senza una risposta.

Suggerirei una visione controcorrente delle cose italiane in materia di scissione del Pd. Anche una persona digiuna di storia partitica, guardando agli ultimi 40 anni di litigi interni alla sinistra può serenamente arrivare alla seguente conclusione: tutti i rami staccatisi dal tronco principale si sono gradualmente ma inesorabilmente seccati nel tempo. E questo per due ottimi motivi. Il primo è anagrafico: l’invecchiamento sia dei dirigenti scissionisti, già in avanti con gli anni, sia dei loro elettori storici. Il secondo motivo, invece, riguarda l’offerta politica: all’infuori della pura demagogia nostalgica, nessuno, ma proprio nessuno dei “separatisti” ha saputo né proporre alle giovani generazioni qualcosa di diverso dal welfare pauperista dello Stato-Provvidenza sovietico, né formulare soluzioni originali in materia di nuova occupazione, a seguito dell’avvento della globalizzazione e della finanziarizzazione dei mercati internazionali, per cui il motore economico si è spostato dal lavoro all’automazione e al denaro fine a se stesso. Il tutto acuito dalla rinuncia alla sovranità della moneta nazionale e, soprattutto, dall’introduzione via Trattati di vincoli di bilancio e monetari gestiti arcignamente dagli eurocrati di Bruxelles e da Francoforte.

Facile predizione, quindi: finiranno ben presto Bersani, D’Alema, Pisapia, Vendola, Emiliano, ecc., nel calderone delle fabbriche di bolle di sapone decretate dalla Storia (“S” maiuscola!). Anche perché di populismo neocomunista nessuno sente un gran bisogno, essendoci oggi in campo attori ben più rodati: a destra i sovranisti; a sinistra (?) il Movimento 5 Stelle e il suo reddito di cittadinanza che, per stare in piedi con i suoi circa 20 miliardi di euro all’anno, necessiterebbe di un rapido ritorno all’antico e spregiudicato “deficit spending”. In cambio di che cosa? Di ulteriore debito pubblico che nessun investitore internazionale sarà interessato a pagare. Visto che simili iniziative demagogiche presuppongono l’uscita dall’Euro e la denuncia unilaterale dei Trattati europei. Né i nazionalismi incombenti possono sperare di incontrare il favore di Trump, spostando tutto l’interesse su accordi e trattati bilaterali di libero scambio. Con quale forza lo potrebbero fare da sole Italia e Francia? E qui prende corpo l’altro mistero. Ipotizzato in futuro il ritorno a un sistema di dazi e protezionismo di vario genere, in presenza di barriere doganali di nuovo diffuse e di svalutazioni competitive, noi italiani che cosa ce ne faremmo, se il ritorno degli impianti ad alta densità di manodopera oggi dislocati in Asia presuppongono salari operai pari a un quinto di quelli attuali?

Per salvarci dalla guerra commerciale e tariffaria a tutto campo avremmo “già” dovuto realizzare da decenni una Silicon Valley italiana capace di produrre lo stesso Pil dei tempi della nostra seconda industrializzazione, Fiat e Iri in testa a tutti. Quindi, una nuovissima socialdemocrazia (renziana?) o un liberalismo conservatore (trumpiano) potrebbero, forse, trovare la chiave della rinascita della fiducia nei Partiti. Non certo gli “zombie” già bruciati dalla Storia.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:09