Norimberga immigrazione

Chi sono i colpevoli? La domanda riguarda i nuovi trafficanti di uomini, per i quali Norimberga sarebbe il modello più appropriato per giudicarli e condannarli, esattamente a quanto accadde per i nazisti. Dalla scoperta delle Americhe in poi, la figura orrenda dello schiavista ha rappresentato per secoli una sorta di fattore di pull-out disumano, violento e forzato per il popolamento coatto di immensi territori vergini che necessitavano per il loro sviluppo di una manodopera praticamente gratuita, sottomessa e docile perché priva di qualunque diritto di cittadinanza, riservato solo ai padroni bianchi venuti dall’Europa. Ebbene, da forzoso quel fattore oggi è divenuto il frutto di una precisa volontà individuale e collettiva di espatrio a tutti i costi, da parte di intere popolazioni africane intenzionate a fuggire fame, miseria, carestie e guerre. E questi flussi incontrollati portano con sé le mille contraddizioni di comunità africane a matrice tribale che non hanno mai conosciuto la modernità (mentre noi siamo nell’era postindustriale della rivoluzione digitale) e, pur di entrare, si affidano per la loro fuga alle reti criminali internazionali dei nuovi schiavisti facilitatori, previo compenso in denaro e di prestazioni in natura, non di rado abiette e degradanti.

Allora, perché sottomettersi ieri come oggi a questi criminali? E per quale ragione l’Europa non sfodera tutta la sua potenza militare e repressiva per smantellare con la forza i circuiti che organizzano e favoriscono i traffici dei nuovi schiavisti? Sono loro infatti che mettono a rischio la stessa esistenza dell’Unione come entità multinazionale. Non si può assistere passivamente a tutto ciò, magari facendo un folle paragone con le migrazioni inter-occidentali dell’inizio del secolo scorso, o di quelle che hanno riguardato l’ondata di profughi economici dell’ex Europa dell’Est a seguito della disgregazione dell’Urss. Perché a quei flussi di allora hanno corrisposto controflussi in direzione opposta altrettanto consistenti, grazie a una mondializzazione progressiva dell’economia appena interrotta dalla parentesi tra le due Grandi Guerre. Cosa del tutto impensabile per l’immigrazione centroafricana di oggi che, per la sua risoluzione, necessita di un neocolonialismo alla rovescia. Ovvero, occorre portare (senza alcuna contropartita nello sfruttamento delle materie prime locali) le migliori energie, conoscenze e risorse materiali dell’Occidente in regioni che la buona coscienza ci dice vadano riguadagnate, a nostre spese, a una vita dignitosa e nelle quali non si pone alcun problema di integrazione essendo territori di nascita delle persone oggi in fuga.

Le élite onusiane e della sinistra mainstream (che controllano oggi come ieri le leve della comunicazione mondiale) debbono avere il coraggio di rendere di nuovo sicura la vita nei Paesi africani! Le persone fuggono perché non hanno alcun diritto alla terra, all’accesso al credito agricolo agevolato e alle tecnologie occidentali per l’irrigazione e la coltivazione dei terreni. Quindi, in primo luogo occorre ristabilire le condizioni di sopravvivenza in quelle regioni facendo una campagna mediatica di tipo orwelliana, attraverso la Rete e i social network, per dire alle genti in procinto di fuggire come stanno veramente le cose, lì da loro e qui da noi. Non servono hotspot getto, dove la disperazione dimora incontrastata. Piuttosto, occorre a livello sistemico riprodurre ciò che accadde qui da noi nei primi anni Novanta con l’esodo degli albanesi: moltissimi di loro furono convinti a rientrare nel loro Paese previa l’erogazione di un piccolo contributo economico da parte delle autorità italiane. Riproduciamo quello schema, in modo da generare contro flussi positivi dai centri di accoglienza affinché chi è rimasto senza nulla, tornando indietro abbia qualcosa per ricominciare!

 

Aggiornato il 21 giugno 2018 alle ore 16:24