Gli esodi dei docenti

Certo, le attenuanti ci sono e non di poco conto: stipendi bassi e scarso riconoscimento sociale del ruolo svolto. In più, l’incremento del tempo pieno al sud, da più parti richiesto per contrastare la dispersione scolastica, potrebbe rendere meno pressante la necessità di trasferire insegnanti nelle scuole statali centro-settentrionali dove negli ultimi vent’anni il numero di alunni è aumentato di quasi 800mila unità (mentre il Meridione e le isole hanno perso circa 500mila studenti). Ciò non toglie che il quadro tratteggiato dal rapporto sulla mobilità docenti del 2017, pubblicato sul portale telematico tuttoscuola.com, dovrebbe far arrossire dalla vergogna i suoi protagonisti: Governo, sindacati e (non pochi) insegnanti.

Il tasso di mobilità di questi ultimi, che negli anni scorsi era di uno a dieci, quest’anno è esploso, triplicandosi, costringendo ad ammainare la bandiera della continuità didattica, fino a ieri da tutti brandita. È l’effetto del piano straordinario di mobilità previsto dalla “Buona Scuola”, preliminare, spiega il rapporto, “al varo del piano straordinario di assunzioni voluto dal Governo Renzi. In pratica un’’ultima chiamata’ che doveva consentire al personale docente di spostarsi sulla sede più gradita anche ‘in deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia’. Fatto questa sorta di ‘condono’, doveva partire la nuova modalità di assegnazione della sede di servizio, la cosiddetta ‘chiamata diretta’: non sarebbe stato più il docente a scegliere la scuola, ma la scuola a scegliere il docente. È quanto prevede la legge ma l’accordo sulla mobilità firmato dalla ministra Fedeli con i sindacati allo spirare del 2016 prevede una nuova deroga da ogni vincolo di permanenza per tutti i docenti di ruolo, compresi quelli chiamati con incarico triennale dai dirigenti scolastici”.

Per ora i numeri ci dicono che dei 207mila insegnanti di ruolo nelle scuole statali trasferiti quest’anno, almeno 130mila sono docenti meridionali che dal nord si sono avvicinati a casa: “Se in molti hanno parlato la scorsa estate di ‘deportazione’ di docenti dal sud al nord, quello che è avvenuto con i trasferimenti è stato un vero e proprio controesodo di docenti meridionali che avevano preso il ‘ruolo’ (cioè il posto stabile) al nord e poi hanno colto l’occasione per chiedere il trasferimento verso casa. Back home”. All’indomani dell’Unità d’Italia, schiere di insegnanti ‘piemontesi’ furono inviate nei comuni meridionali per procedere ad alfabetizzazione e Nation Building. Altra temperie storica, certamente; l’idea dello Stato-Nazione era allora la stella polare, l’alfa e l’omega del discorso pubblico e del sentimento identitario. Nonostante ciò è proprio necessario arrendersi alle miserie corporative ed ai vittimismi lacrimevoli di chi ha perso qualsiasi senso dello Stato? Perché solo di questo, in fondo, si tratta; di mortificazione dei più basilari principi di solidarietà nazionale.

Cosa accadrebbe, infatti, se nelle altre branche dell’amministrazione statale (forze di polizia, sanità, giustizia) nel corso di un solo anno un terzo del personale migrasse dal nord al sud o viceversa, come è stato permesso che accadesse quest’anno nella scuola? Lo Stato semplicemente collasserebbe. Questo sarebbe il risultato: la somalizzazione del Paese. Un altro, l’ennesimo, Stato fallito, una carcassa gettata lì, esangue, in mezzo al Mediterraneo.

Destino ineluttabile? Forse no, purché coloro che quel destino vogliono scongiurare inizino a chiamare le cose con il loro nome e, quindi, a qualificare l’atteggiamento di coloro che quel destino intendono perseguire per quello che è: antisociale e antinazionale.

(*) Professore associato in Storia Contemporanea - Università Roma Tre

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:08