Una Democrazia acerba e instabile

In Italia non esiste la mezza misura e lo abbiamo visto e provato sulla nostra pelle specialmente in questi ultimi anni. Si passa da un estremo all’altro con una facilità incredibile, spesso pericolosamente. Siamo un popolo di grande intellighenzia, ma che spesso ragiona di pancia. Siamo un Paese fatto di opposti e contraddizioni, contrapposizioni, fazioni e odio, siamo estremamente divisi su tutto e uniti soltanto su delle rare banalità che non ci portano quasi mai a nulla. Viviamo una perenne guerra fredda interna, spesso incomprensibile, ma che tocca tutti i settori della società, non esiste nemmeno nei momenti peggiori un’unità d’intenti, anche se sarebbe motivata dall’interesse nazionale o dall’amore per la Patria.

Insomma, l’Italia è lacerata da battaglie e guerre intestine spesso senza senso e senza valore. Le uniche reazioni che abbiamo rispetto ai problemi più gravi, ma anche semplici da comprendere, sono populiste quando è la classe politica ad occuparsene e ancora più irruente quando sono gli italiani a ricercare le soluzioni. Un esempio su tutti è la giustizia, rispetto la quale l’emergenza è pesantissima e spazia dai diritti civili dei carcerati, che scontano pene in celle dove hanno a disposizione un paio di metri quadrati a testa, passando per i gravissimi errori nei giudizi, le fughe di notizie dalle Procure, la faziosità politica della magistratura e i vari accanimenti della stessa nei confronti di alcuni, per terminare con le lungaggini incredibili che caratterizzano i processi che “colpiscono” i cittadini.

Considerati tutti questi problemi e le serie analisi che richiederebbero, è per più o meno per tutti lo stato di salute della giustizia italiana la priorità, ma la magistratura, prima ancora che risolvere i suoi di problemi, si occupa a furor di popolo di castigare e delegittimare una classe politica tra le più corrotte dell’Occidente, che però spesso, ultimate le indagini, risulta essere innocente o quasi. I politici in Italia sono stati per anni gli impuniti assoluti, immuni da qualsiasi attacco giudiziario, mentre oggi sono costantemente sotto accusa. Difatti, la nostra classe politica, la più populista al mondo, ha risolto il suo problema con una regola semplicissima e comprensibile a tutti: quasi tutti i partiti non candideranno più nemmeno persone incensurate se indagate. Questo per dare un chiaro segnale di trasparenza e affidabilità, che rischia però, in Italia, dove lo strapotere della magistratura ha fatto quasi solo danni, di regalarle un altro immenso potere: quello di decidere chi può candidarsi alle elezioni e chi no. Parlo di tutte le competizioni elettorali, non soltanto delle politiche, perché, come stiamo verificando, la mano sospettosa dei pubblici ministeri si posa anche sulle amministrazioni locali, dai Comuni alle Regioni.

Il nostro ordinamento permette ai giudici di indagare chiunque, in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo e senza dover dare troppe spiegazioni. Pertanto quella che è già una prassi per i partiti, cioè non candidare chiunque abbia provvedimenti giudiziari a proprio carico, sarà l’ennesima concessione ai “controllori” che divengono ora anche “cernitori”. Il potere giudiziario, complementare ai poteri esecutivo e legislativo, ha guadagnato ancora terreno sottraendone agli altri due pilastri democratici. Ora quando qualche pm o qualche giudice non vuole che questo o quel partito candidi qualcuno, è sufficiente che lo indaghi. Certo, qualcuno dirà che questa nuova “regola” non è scritta e non c’è l’obbligo di rispettarla, ma tutti sappiamo bene quanto la politica sia sensibile all’agone mediatico e quanto i vari partiti siano pronti a sputarsi addosso veleno alla prima occasione che l’avversario sceglie di mettere in lista un indagato.

Proprio per questi motivi la consuetudine è già prassi e quindi regola. Prima di parlare di liste “pulite” bisognerebbe forse parlare di giustizia “pulita”? Bisognerebbe forse risolvere i problemi che la riguardano direttamente? Passare l’aspirapolvere anche nelle Procure non sarebbe un’idea cattiva, quantomeno in linea teorica si vorrebbe che l’inquirente e il giudicante siano migliori del giudicato. Una cosa ancora per qualche anno è certa, la nostra è una democrazia ancora acerba e instabile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:15