Turchia e Ue sempre più lontani da un destino comune

Sono ore di forte tensione quelle che stanno vivendo gli uffici diplomatici di Ankara e Bruxelles. Anche se le decisioni formali non saranno prese prima del vertice dei capi di stato e di governo Ue previsto per il 19 e 20 ottobre prossimi, allo stato attuale tutto fa pensare a uno stallo sui negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea. Una situazione prevedibile, certo, che però ha avuto una accelerazione negativa solo nelle ultime settimane a seguito soprattutto dei rapporti tesi tra il governo turco e tedesco.

Sarà stato forse un caso, eppure lo scorso 3 settembre, nel corso di un dibattito televisivo in vista delle elezioni del 24 settembre la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha promesso di cercare di porre fine ai negoziati di adesione della Turchia all’Ue. Nel confronto, poi, il contendente del Partito socialdemocratico tedesco (Spd), Martin Schulz, ha sollecitato maliziosamente la Merkel al punto tale da farle ammettere che “è chiaro che la Turchia non dovrebbe diventare un membro dell’Ue”.

Insomma, si cercava lo scontro. Oppure l’occasione giusta per manifestare apertamente la non gradita presenza dello stato turco nelle istituzioni europee. La Germania, che di certo non ha bisogno di legittimazioni politiche per affermare le sue volontà all’esterno dei confini comunitari, ha rincarato il duro colpo assicurando anche che ci sarà “una posizione comune dell’Ue” sulla futura decisione.

Ma l’orgoglio del presidente Recep Tayyip Erdoğan è famoso quanto il Raki turco, così da provocare inevitabilmente un botta e risposta in pieno stile imperiale ottomano: “Pretendiamo sincerità dall’Europa, se non ci vogliono prendano coraggio, lo dicano e facciano ciò che è necessario”. Una cinica provocazione che in molti sembrano ancora non aver ben compreso: eventuali contraccolpi non saranno solamente politici ma soprattutto economici, religiosi e culturali. Per questa ragione i ventotto paesi appaiono divisi, con Germania e Austria che vogliono porre fine ai negoziati mentre altri, tra cui l’Italia, insistono affinché venga lasciata alla Turchia la responsabilità della rottura. Da non sottovalutare, inoltre, le ripercussioni per l’accordo tra Ue e Turchia sui migranti che ha permesso di bloccare i flussi sulla rotta balcanica.

Come sempre un melting pot di interessi, responsabilità, azioni, ripercussioni e valutazioni cui solo l’Unione europea è in grado di poter creare ignorando (per il momento, si spera) il fatto che per porre fine ai negoziati di adesione della Turchia serve un accordo all’unanimità tra i governi, mentre per sospenderli è sufficiente una maggioranza qualificata degli Stati membri.

Ma la Turchia in Europa o, come sarebbe più esatto dire, l’Europa in Turchia, è una oggettività ben più consolidata delle esternazioni del cancelliera Merkel. Non solo perché il processo di europeizzazione è ormai in atto da più decenni ma, ancor di più in relazione ai consolidati rapporti economici e strategici che legano i due attori.

L’interdipendenza tra i due vicini, nonché il ruolo fondamentale della Turchia come ponte tra Europa e Medio Oriente, vale molto di più di un scontro televisivo alla vigilia di una tornata elettorale. Un futuro e presumibile ingresso nell’Unione europea, quindi, non potrà che tradurre in realtà quanto detto più volte dai padri fondatori europei, ovvero che i confini d’Europa non sono solamente quelli geografici ma anche culturali. La stessa idea che aveva un altro cancelliere tedesco, Helmut Kohl, quando diceva: “Ad ogni generazione si pone nuovamente il compito di superare i pregiudizi e di far cadere i sospetti”. Siamo sicuri che noi non ne abbiamo?

Aggiornato il 11 settembre 2017 alle ore 11:03