La Romania e lo Stato di diritto

La riflessione sullo Stato di diritto - e della sua applicazione - all'interno dell'Unione europea è ormai sdoganata. Basti pensare agli interventi giurisprudenziali della Corte di Giustizia (sentenza del 27 febbraio 2018, causa C-64/16 Associação Sindical dos Juízes Portugueses), alle decisioni del Parlamento europeo (risoluzione 2017/2931 del 15 novembre 2017 sulla situazione dello Stato di diritto e della democrazia in Polonia) o della Commissione europea (Raccomandazione 2016/1374 del 27 luglio 2016, C/2016/5703, sempre relativa allo Stato di diritto in Polonia).

Eppure, gli ultimi accadimenti politici europei (Ungheria e Romania per esempio) sembrano confermare i dubbi di quello che nel 1993 - ovvero prima dell'allargamento ad Est dell'Europa - veniva chiamato il “dilemma di Copenaghen”, cioè come assicurare all'interno di uno stato membro la presenza di istituzioni stabili che sostengano il rispetto dei diritti e delle libertà dell'uomo, insieme con la garanzia dello stato sociale.

Considerando che lo Stato di diritto è uno dei valori comuni sui quali si fonda l'UE, e che la Commissione, di concerto con il Parlamento e il Consiglio, è tenuta in virtù dei trattati vigenti ad assicurarne la loro applicazione, è difficile chiedersi quale sia in questo momento storico la misura più efficace, nonché lo strumento applicativo più idoneo. Certo, la diversità dei problemi riguardanti lo Stato di diritto richiede una differenza di risposte per ciascun singolo caso, ma basterà invocare ogni volta la procedura di infrazione da parte della Commissione? Perché se è questo il messaggio che l'esecutivo Ue propone agli Stati inadempienti, allora Polonia, Ungheria e, non ultimo, Romania sembrano non essere né spaventati, né preoccupati per il futuro.

La Romania, appunto, a seguito delle recenti leggi anticorruzione e dei tre decreti d'urgenza per riformare la giustizia, sta vivendo un rapporto conflittuale con i vertici di Bruxelles. Però, se da un lato la Commissione esercita le sue pressioni per sostenere la legalità e il processo trasparente, la certezza del diritto e il divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, l'indipendenza e l'imparzialità del giudice, nonché un controllo giurisdizionale effettivo, anche per quanto riguarda il pieno rispetto dei diritti fondamentali e l'uguaglianza dinanzi alla legge; dall'altro, il governo di Bucarest, chiede il rispetto di un'autonomia ed indipendenza decisionale che è propria degli stati membri - oltreché sovrani - in materie a legislazione nazionale. L'equilibrio politico, normativo e comportamentale delle due controparti si manifesta con rituali dichiarazioni d'intenti, senza però oltrepassare la linea del deferimento alla procedura d'infrazione secondo quanto disposto dell'articolo 7, paragrafo 1, del TUE sulla constatazione dell'esistenza di un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto. Se per la Polonia è ormai troppo tardi, forse per la Romania ci sono ancora margini di trattativa.

Il vicepresidente vicario della Commissione europea Frans Timmermans, al termine dell'ultima riunione dei Commissari ha infatti dichiarato, riferendosi alla situazione rumena: “Abbiamo dato al governo una quarantina di punti e riavviato le discussioni tecniche ma abbiamo bisogno di vedere risultati con urgenza. La Romania deve tornare con urgenza a un processo di riforma e astenersi da qualsiasi misura che possa portare a una regressione di tutto ciò che è stato fatto negli ultimi anni”.

Inoltre, nelle ultime ore, le ambasciate di 12 Stati partner internazionali e alleati della Romania - Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Norvegia, Paesi Bassi, Stati Uniti e Svezia - hanno diffuso una dichiarazione congiunta nella quale chiedono al governo di Bucarest di astenersi da qualsiasi modifica in grado di “indebolire lo stato di diritto e la capacità del paese di contrastare la corruzione e la criminalità”. In particolare, gli stati firmatari si dichiarano profondamente preoccupati per l'integrità del sistema giudiziario romeno, “fortemente scosso da modifiche imprevedibili che non rafforzano le azioni della Romania nel consolidare il progresso nel campo della giustizia”.

Chissà a questo punto quale sarà la risposta ufficiale del governo guidato dal primo ministro Viorica Dăncilă, sperando non si offenda se qualche giornalista internazionale le ricorderà, tra l'altro, che la Romania è considerata anche da Transparency International uno dei paesi più corrotti dell'Unione europea.

Aggiornato il 05 aprile 2019 alle ore 15:10