Turchia e Ue: un matrimonio che non s’ha da fare

Il problematico rapporto tra Europa e Turchia ha da sempre appassionato lélite intellettuale europea. Gli storici argomentano questa differenza nella gestione dei confini; i politici, per contro, alla complessità delle relazioni diplomatiche di Ankara con Bruxelles. L’opinione pubblica europea, confusa e rassegnata, argomenta visioni e soluzioni che trovano ragione in semplici interessi strategici o economici. Fatto sta che nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha raccomandato al Consiglio e alla Commissione europea di sospendere i negoziati di adesione dell’Unione europea con la Turchia perché negli ultimi anni ha registrato “un grave arretramento politico e democratico”.

Se per molte organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani non è una novità, anzi, una vera e propria presa d’atto dopo anni di denunce, l'espressione pubblica del Parlamento europeo sul caso manifesta espressamente la preoccupazione europea per gli scarsi risultati conseguiti dalla Turchia nella difesa dei diritti dell'uomo, lo stato di diritto, la libertà dei media e la lotta alla corruzione, nonché il suo potentissimo sistema presidenziale.

La Risoluzione in questione è stata adottata nell'ultima seduta plenaria del Parlamento europeo, e ha ottenuto 370 voti favorevoli, 109 contrari e 143 astensioni. Il testo - non vincolante - ha quindi posto in evidenza la grande preoccupazione della comunità internazionale per le condizioni sempre più dubbie del libero dibattito civile nel paese, in considerazione soprattutto del gran numero di attivisti, giornalisti e difensori dei diritti umani attualmente in carcere. Tuttavia, nonostante le gravi contestazioni, gli europarlamentari hanno espresso la volontà di continuare a sostenere i cittadini turchi nel dialogo politico e amministrativo con le istituzioni europee. Le condizioni, al momento, sembrano non essere negoziabili, anche perché sarebbe una grave mancanza di credibilità del Parlamento europeo quale massima espressione di democrazia e aggregazione di culture.

Tra le ipotesi concrete, nonché attuabili nel breve termine, sembra esserci la gestione diretta dei fondi messi a disposizione dall'Unione europea che dovranno essere dedicati ad attori della società civile turca, ai difensori dei diritti umani, studenti e giornalisti con l'obiettivo di promuovere e proteggere valori e principi democratici; inoltre, anche la possibilità di aggiornare l'Unione doganale Ue-Turchia del 1995 per includere, ad esempio, agricoltura e appalti pubblici.

Ma il grande dilemma è rappresentato ancora dalla politica estera e, in particolare, della guerra siriana: la Risoluzione menziona l’importante ruolo della Turchia nel rispondere alla crisi migratoria e gli sforzi del governo per garantire ai rifugiati protezione temporanea. Il Parlamento europeo, infatti, ritiene che il Paese e la sua popolazione abbiano sì mostrato grande ospitalità offrendo rifugio a oltre 3,5 milioni di rifugiati siriani, ma allo stesso tempo li esortano a rispettare il principio di non respingimento. Gli Stati membri, d’altra parte, devono mantenere le loro promesse riguardo al reinsediamento su larga scala.

La relatrice della Risoluzione, l’eurodeputata socialista dei Paesi Bassi Kati Piri, ha commentato il testo approvato spiegando che “se l'Ue prende sul serio i propri valori, non è possibile altra conclusione che sospendere formalmente i colloqui sull'integrazione europea. Le nostre ripetute richieste di rispettare i diritti fondamentali sono cadute nel vuoto ad Ankara. Oltre alle gravi violazioni dei diritti umani, allo smantellamento dello stato di diritto e al fatto che la Turchia detiene il record mondiale per il numero di giornalisti in carcere, la Costituzione recentemente modificata consolida l’autoritarismo di Recep Tayyip Erdogan”. La risposta turca, invece, è arrivata dal portavoce del presidente Erdogan, Ibrahom Kalin, il quale ha definito la decisione “nulla e inutile, ispirata solamente da pregiudizi propri dei movimenti xenofobi di destra”.

In attesa della nuova formazione del Parlamento europeo, ciò che rimane sul tavolo degli stessi analisti, politologi, storici e burocrati è una fotografia dell'Ue come principale partner commerciale della Turchia (due terzi degli investimenti diretti esteri in Turchia provengono da Stati membri dell’Ue), e i confini geografici con Siria, Iraq e Iran. Insomma, tanto quanto basta per immaginare che per ancora molti anni non si prenderà alcuna decisione.

Aggiornato il 23 marzo 2019 alle ore 18:16