La République “contractuelle” di Emmanuel Macron

Mentre la politica italiana si diletta a discettare sui contrasti D’Alema/Renzi, Berlusconi/Salvini, di Beppe Grillo contro tutti, altrove si parla di politica. Il 3 luglio Emmanuel Macron, nella reggia di Versailles, ha riunito i deputati e i senatori della Repubblica, in una specie di messaggio alla Nazione, dove ha illustrato la sua visione della Francia e il suo programma quinquennale. Può farlo, perché oltre all’investitura diretta ha guadagnato anche la maggioranza assoluta dell’Assemblea nazionale, con En marche!, il partito di sua creazione, nuovo di zecca. C’è un uomo solo al comando a presiedere la Repubblica e la politica francese. Tuttavia, Macron sa di non avere con sé la maggioranza dei francesi, per lo più assenteista, estremista o a lui ostile, per questo calibra il suo intervento in un’unica direzione: ricucire l’unità nazionale. Orgoglio francese, solidarietà e unità sono le parole d’ordine. Mentre in Italia è definitivamente archiviata l’epoca delle riforme costituzionali, Macron riparte proprio da lì, con proposte confezionate, in prima persona dal Governo, nonostante le ripetute e profonde riforme già votate nel 1962, 2003, 2008.

Il nuovo mondo, secondo Macron, è in preda a rapidi e profondi cambiamenti. Serve il superamento delle prassi correnti, dominate da liti, contrasti e vuote ambizioni. Serve una nuova energia creatrice, perché urgono  ambizioni capaci di riconciliare un popolo deluso e impaziente. Ripartire, innovare, riconciliare, ritrovare ottimismo e speranza, sono queste le basi su cui realizzare le trasformazioni che servono, dopo gli anni dell’immobilismo. La premessa di Macron  è che la Francia ha bisogno di scelte rapide ed efficaci. Questo non può accadere se non si ripristinano le condizioni minime di unità di un popolo diviso.

Il tempo presente richiede una repubblica forte e la repubblica è forte se le sue istituzioni sono forti. Al riguardo, indica tre principi ispiratori: l’efficacia, la rappresentatività e la responsabilità delle istituzioni. Sorprendentemente calca la mano sulla rappresentatività. Propone infatti la riduzione di un terzo dei parlamentari, per rendere più fluido il lavoro assembleare ed evitare la proliferazione legislativa. Caldeggia il divieto del cumulo nel tempo di troppi mandati. Chiede d’introdurre una percentuale di proporzionale per “includere” i partiti sottorappresentati dalle discriminazioni del maggioritario.

Intende, inoltre, valorizzare il Consiglio Economico Sociale e dell’Ambiente (una specie di Cnel italiano), che dovrebbe diventare la “Camera del futuro”, il centro della consultazione dell’impresa e del lavoro, dove trovano spazio tutte le forze vive della nazione. L’esigenza d’includere trova spazio, per Macron, anche nell’ampliamento del diritto di petizione. In omaggio al principio di responsabilità, i ministri, per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, saranno sottoposti alla magistratura ordinaria, non più alla Corte di Giustizia della Repubblica. Il Governo, inoltre, vedrà limitato il proprio peso nelle nomine dei magistrati inquirenti.

Tutto questo ha un solo scopo: rafforzare il “patto civico” tra governanti e governati. Si tratta di far emergere i caratteri della repubblica come “République contractuelle”, cioè coesa. Rappresentatività, efficacia dell’azione e responsabilità puntano a rafforzare l’unità della nazione. La grandezza della Francia deve poter contare su un popolo maturo, coeso, non infantile che si accontenta delle illusioni.

La storica efficienza della pubblica amministrazione deve continuare ad essere lo strumento con cui la democrazia diventa concreta, capace cioè di garantire il legame “fraterno” che unisce. Sul punto caldo delle migrazioni, conclude così. “Non è possibile continuare ad affermare il nostro attaccamento ai principi dell’accoglienza e dell’asilo, senza accorgerci che la vastità del fenomeno non ci consente di garantire un trattamento umano e giusto di tutte le richieste di protezione”.

Cesarismo, bonapartismo “macroniano”? Un po’ di tutto. Ma la riscoperta del valore della rappresentatività del Parlamento, del diritto di tribuna del popolo, testimoniano la consapevolezza che le democrazie vivono una crisi profonda, di fronte ai populismi di destra e di sinistra. Di qui la virata al centro, alla ricerca della coesione, nei toni, nei programmi e nelle politiche il più possibile inclusive. Il raffronto con l’Italia è desolante. Gli atteggiamenti preclusivi ed esclusivi dei movimenti populisti, del partito di Grillo in particolare, sono deprimenti. L’isolazionismo opportunista e “buffone” dei suoi parlamentari è pericoloso, divisivo. Non è lontano il ricordo berlingueriano della “diversità” del Partito Comunista Italiano. Oggi la storia, con presupposti culturali molto diversi, si ripete. Ma, la presunta “diversità” a lungo temine non paga. I grillini sanno che sono di fronte a un passaggio cruciale: o conquistano Palazzo Chigi nel 2018 oppure sono destinati a scomparire. Restino fermi i partiti sul proporzionale. È questo, per il momento, lo strumento più idoneo per sovrastare i populismi. Dopo il 2018 il grillismo potrebbe diventare inoffensivo, per poi, col tempo, scomparire.

Aggiornato il 13 luglio 2017 alle ore 09:09