La dittatura venezuelana e i comunisti italiani

Quando la nebbia ideologica nasconde l’oggettività dei fatti, si può anche commentare l’esito elettorale della formazione dell’Assemblea Costituente venezuelana, in questo modo: “Il Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea saluta il risultato straordinario di partecipazione al voto per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente in Venezuela. È stato - si legge nel comunicato del 31 luglio 2017 - un risultato “particolarmente significativo, ottenuto dopo più di 3 mesi di manifestazioni violente organizzate dai settori oltranzisti dell’opposizione, in un clima di intimidazione squadrista che non è cessata neanche durante il voto”.

Ma, gli ideologi di Rifondazione sanno com’è stata eletta la cosiddetta Costituente venezuelana? Personalmente ho qualche difficoltà nel riconoscere a quell’organismo la dignità di “Costituente”, per il suo intrinseco carattere antidemocratico. Il decreto presidenziale che l’ha prevista infatti ne ha falsificato l’esito, fin dall’inizio, distorcendo i comuni principi della rappresentanza e prevedendo un rappresentante eletto per tribù, uno per paese, uno per i pensionati del sindacato filogovernativo, uno per gli studenti dei licei “bolivariani, così di seguito, mentre, esigue rappresentanze numeriche sono state attribuite alle città popolate da migliaia, centinaia di migliaia o milioni di abitanti. L’esito non poteva che essere distorsivo, sia nel calcolo dei votanti, che nel conteggio dei voti. Del resto, tutti sanno che Nicolás Maduro è sostenuto soltanto dal 20 per cento della popolazione, mentre l’80 per cento lo osteggia. Ha contribuito a questo risultato anche l’insipienza dei movimenti di opposizione. Come usava dire Chavez: “Non sono io che vinco, ma loro che perdono”. Infatti l’opposizione, sbriciolata in 20 fazioni, perseguitata e demoralizzata, minacciata anche militarmente, ha malamente reagito all’iniziativa, limitandosi ad organizzare una contro consultazione non ufficiale, di fatto ininfluente, pensando che le manifestazioni spontanee di piazza avrebbero fatto il resto.

Ma, non è stato. E non è così. Il popolo venezuelano non è un popolo guerriero e Maduro lo sa perfettamente. I tanti ragazzi che, in forma spontanea, hanno affrontato l’esercito nelle strade - quelli che i comunisti italiani definiscono squadristi - lo hanno fatto in modo pacifico, disorganizzato, senza un piano strategico, con gli esiti letali che conosciamo. L’ultima trovata di Maduro, dopo il maldestro tentativo di esautorare il Parlamento tramite la Corte Suprema, intende neutralizzare le istituzioni democratiche sopravvissute, a partire dal Parlamento, che pur è (era), in maggioranza ostile al presidente. In questo modo, con una finta consultazione Maduro, a tutti noto come persona rozza e ignorante, rafforza la propria dittatura militare, sorretto da un manipolo di generali miliardari e corrotti, da una magistratura finta e asservita, da un Tribunale elettorale complice, sotto la guida soprattutto del Governo cubano dell’Avana che, sostenendo e guidando passo passo le sue azioni, intende rafforzare la propria egemonia “antimperialista” nel centro America.

In tutto questo, assieme all’ininfluenza dell’Europa, d’innanzi a 120 manifestanti morti nelle strade - questi sono almeno i numeri ufficiali -, quello che sorprende di più è l’atteggiamento dell’Amministrazione statunitense. L’idea di Chavez prima e di Maduro poi è quella di fare del Venezuela una specie di Corea del Nord sudamericana. Nonostante ciò, gli Stati Uniti continuano a privilegiare i propri interessi economici, l’acquisto sottocosto del petrolio venezuelano, la tolleranza di ogni tipo di traffico commerciale, ignorando la crescente influenza politica ed economica che Russia e Cina stanno progressivamente guadagnando nell’area. Non si dimentichi che Russia e Cina sono i maggiori creditori del Venezuela.

Non ci sono più radio né televisioni libere. La povertà è totale, eccezion fatta per le élites commerciali, che trattano i propri affari in valuta. Il popolo, tutto, dei sostenitori e degli oppositori di Maduro, vive nella più assoluta miseria. I Comitati di approvvigionamento e produzione (Clap) riconoscono, non a tutti, il privilegio di ricevere la cosiddetta “borsa Clap”, cioè una razione settimanale di alcuni generi di prima necessità, a prezzo controllato. Si tratta di due chili di farina, due di riso, una porzione di olio. Qualche volta nella borsa ci sono sardine, una pasta dentale, lo shampoo. È difficile per gli stessi sostenitori di Maduro impossessarsi, dopo file interminabili, di una borsa Clap. Per averne diritto si sottopongono a ogni tipo di subordinazione e umiliazione, ivi compreso il riscontro delle impronte digitali. Gli oppositori, rigorosamente schedati, ne sono sistematicamente esclusi.

Nel 2015 una coppia di ingegneri petroliferi, incontrati a Canaima, mi informava che il loro stipendio individuale era, allora, di 20-25 dollari mensili. Oggi, mi dicono, che per mangiare, ogni mese, e per acquistare le medicine salva vita necessarie, ci vorrebbe lo stipendio di 10 mesi. Confessano che spesso, piuttosto che andare al lavoro, sono costretti a passare al setaccio la città, per tentare di rintracciare una medicina per il figlio, la nonna, il nonno a rischio vita. Eppure, la situazione pare senza uscita. Quel 20% di popolazione ancora chavista, dichiara di preferire di morire di fame, piuttosto che accettare il ritorno dell’opposizione al potere. Maduro tiene ancora in pugno parte delle classi più deboli con il mito di Simón Bolívar e del comunismo. Che la propaganda chavista sia in grado di attrarre parte del popolo venezuelano è comprensibile. Meno comprensibili sono le proclamazioni dei nuovi comunisti italiani che, nonostante la pluralità delle informazioni che circolano nell’Occidente libero, pensano di poter rinunciare al senso della ragione e della storia per un’ideologia che, nelle sue applicazioni pratiche, è ormai certificata come morta e sepolta.

 

Aggiornato il 01 settembre 2017 alle ore 20:16