Con Putin rischiamo di perdere con la pace, come con la guerra

La notizia più significativa di questi giorni è il voltafaccia tedesco e italiano sullo stop dell’acquisto di gas russo. Tra la presenza sempre ambigua della Cina e i dietrofront della Germania, l’Europa è ancora al suo grado zero: non c’è unità neanche in un contesto così delicato, ciò porta al rischio di fallimento delle sanzioni. Colpa di cinquant’anni di scellerata politica energetica. Compravamo allegramente idrocarburi elargitici a carissimo costo (soprattutto politico) prima dagli arabi e poi dai russi. Soltanto Francia e Regno Unito si sono dati un piano organico di autonomia energetica, con le centrali nucleari, il petrolio del Mare del Nord, l’eolico offshore. Gli altri sono stati guidati prima dagli arabi e dai loro petrodollari, poi dai russi e dal loro soffocamento.

Abbiamo taciuto davanti allo sfacciato doppio gioco di Gerhard Schroeder, passato dal Governo tedesco all’attuale presidenza di Rosneft, di fronte al quale Kim Philby, maestro del doppio gioco a favore dei russi, era un angioletto. Abbiamo solo abbaiato (in Italia poco, forse perché eravamo “con la Germania il Paese più infiltrato dal Kgb” e poi dal Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa, Fsb) davanti all’avvelenamento di Aleksandr Litvinenko e a mille altri casi analoghi. La globalizzazione ci ha privati delle industrie strategiche: ricordiamo la dismissione dall’acciaio, la cui narrazione sta dietro le vicende dell’Ilva. Si andava là dove un prodotto costava meno. Oggi ci accorgiamo che il “costa meno” dei cinesi o dei russi ci costava il doppio (perdita di posti di lavoro) e ci costerà il triplo (perdita di importanza geopolitica).

Come ho scritto fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’obiettivo di Putin non è Kiev ma è l’Unione europea, col relativo indebolimento dell’Alleanza occidentale anche dall’altra parte dell’Atlantico e nel Sud-Est asiatico. Albert Camus scriveva “siate realisti, chiedete l’impossibile”, parlando di libertà. Oggi dobbiamo essere tutti realisti e riconoscere che entrambe le soluzioni che si prospettano lungo la faglia vulcanica dell’Est Europa sono impraticabili e perdenti. È impraticabile la guerra, perché non abbiamo sufficiente protezione dal nucleare né eserciti in grado di contrastare gli aggressori, anche se questi fossero solo russi, senza il supporto di Cina, Corea del Nord e – forse – Iran. Ma è impraticabile anche la pace, perché sarebbe un rinvio prima di altre e peggiori aggressioni, cioè una resa a rate davanti alla tirannia e al sopruso. È persino impraticabile la terza alternativa: lo stallo cui assistiamo in queste ore, perché pagheremmo un prezzo economico troppo caro. Quindi la consueta italica spaccatura in due tifoserie è solo fumo che ci buttiamo negli occhi. Servono altre soluzioni da parte di diplomatici e strateghi militari.

Ci vorrebbe un miracolo, perché i soliti yankee difficilmente sbarcheranno in Europa per la terza volta in 107 anni per salvarci dai dittatori che abbiamo covato in seno (Vladimir Putin è una nostra invenzione: lo abbiamo fatto crescere senza pensare alle conseguenze del dono di un miliardo di euro al giorno). Non credo che – come dice Massimo Cacciari – se tutti i leader europei andassero a un incontro con Putin con pari intenti (difficile che ciò avvenga), il tiranno tornerebbe entro i propri confini, col contentino del Donbass esclusa Odessa. La speranza più “concreta” è una nuova Rivoluzione russa, questa volta democratica e liberale; ma non ho quasi mai visto cadere una dittatura per mano del popolo, tanto più quando la tirannide è fondata su un controllo totale di scuola Kgb.

Una speranza. Forse la liberazione dall’incubo della follia di Putin può arrivare dalla notizia (quanto reale, però?) che secondo gli studi dell’Fsb russo, riportati dal britannico Times, la guerra di Putin è destinata alla sconfitta. È però difficile che il cambiamento possa venire dall’esercito o dagli oligarchi: sono già da tempo isolati e controllati, anche se la speranza rimane. Diffido dalla mediazione cinese, ma comunque vale la pena di vedere quali sono le proposte di Xi Jinping, un altro politico che vorrebbe invadere Taiwan e non solo.

E se Putin vincesse? Il modello di Putin è mediorientale. Nei califfati del Medio Evo l’alternativa alla jihad per le popolazioni non musulmane era l’auto-assoggettamento (dhimmi). Dobbiamo affrettarci a trovare soluzioni nuove ed efficaci, se non vogliamo finire come l’Est europeo ai tempi di Leonid Breznev. Se siamo realisti, il quadro è questo. Intanto, si dovrebbe procedere insieme sullo stop al gas russo.

Aggiornato il 09 marzo 2022 alle ore 10:06