“Give peace a chance”, ma senza dare alla pace solo ciance

Vento gelido di guerra. Silenzio delle chiese e del Papa, mentre John Lennon non canta più nel caleidoscopio di SpotifyGive peace a chance”. Silenzio anche dalla Stazione spaziale internazionale: eppure lassù vivono astronauti di molte nazioni. Avranno pur capito quanto sono misere le nostre miserie e piccole le nostre piccolezze. Avranno pure una cultura scientifica concreta e positiva e un’idea della fede migliore di quella delle organizzazioni religiose, perché “sono più vicini a Dio e alla sua corona di stelle”. Incubo. Se nel 1939 avessimo lasciato tutto com’era, senza contrastare il male, Adolf Hitler e Stalin sarebbero morti per un intervento divino? Chi ha fede lo può credere. Oppure le cose non sono così semplici, applicando il “porgi l’altra guancia”?

Se gli Alleati si fossero chiamati fuori dalla guerra, tutto il mondo sarebbe stato invaso e avremmo avuto due imperi del male, a Est come a Ovest, due orrori senza fine per gli ebrei e le altre categorie sociali, etniche religiose: saremmo stati rinchiusi tra lager e gulag grandi come imperi (a Est ciò è davvero avvenuto). Poi Hitler e Stalin si sarebbero fatti la guerra. Saremmo morti tutti o quasi, accettando la prevalenza del sopruso sulla giustizia e della guerra sulla pace. Come fermare il Potere dei tiranni, allora? Penso a un’alternativa: offrire a Vladimir Putin un modo “onorevole” per farlo ritirare nei suoi confini. Ma poi si preparerebbe una guerra a base di missili? Allora è meglio fermarlo adesso? Le domande sono molte e risposte non ce ne sono, al di là dell’alternativa tolstoiana tra guerra e pace. Bari Weiss ricorda le parole del presidente Theodore Roosevelt chiedendosi perché il suo pronunciamento del 1901 “Speak softly and carry a big stick” sia diventato un cliché. La sua risposta è “it’s because it works” (perché funziona).

Gli ebrei, per la loro posizione geografica, se ne intendevano di guerre: cerco su una chiave biblica le occorrenze della parola “pace” nella Bibbia. In I Samuele 24:20 leggo: “Se uno incontra il suo nemico, lo lascia forse andare in pace?”. Si parla di Davide e Saul, con Davide che poteva uccidere il re pazzo, ma non lo ha fatto, spiazzando Saul. In Giobbe (i dolori e la pazienza di Giobbe) l’accento è sul fare pace con Dio. Giobbe 22:21: “Riconciliati con Dio e avrai pace”. Nel capitolo 25 si legge: “Dio fa regnare la pace nei luoghi altissimi… Le sue legioni non si possono contare” (l’accento è sul fatto che si tratta di “forze” non umane). L’uomo invece non è che un “verme”. Al che Giobbe replica: “Come vive Dio che mi nega la giustizia, come vive l’Onnipotente che mi amareggia l’anima, finché avrò fiato e il soffio di Dio sarà nelle mie narici, le mie labbra non diranno nulla d’ingiusto, e la mia lingua non dirà falsità”. Per “l’uomo violento” invece non c’è pietà. Nel salmo 28 una preghiera: “Non trascinarmi via con gli empi e gli iniqui, che parlano di pace col prossimo, ma con la malizia nel cuore”. In Isaia 32:17 è scritto: “Il frutto della giustizia sarà la pace”. In Geremia 6:14 ci sono “coloro che dicono Pace! Pace! mentre pace non c’è”. In Luca 6 c’è il discorso sulla montagna, in cui Cristo sferza coloro che amano solo i propri amici, mentre la cosa difficile è amare i propri nemici, disarmarli con l’amore assurdo. Romani 14:17: “Il regno di Dio è giustizia e pace”. E in Giacomo 3:17: “La Sapienza che viene dal cielo dà pace”. In Giacomo 4:1 si parla dell’origine di guerre e contese, che vengono dall’amicizia verso gli uomini e dal desiderio delle cose degli uomini, che però non si ottengono neanche con la guerra, perché l’amicizia che produce pace è quella verso Dio, o verso l’etica.

Quando in “Guerra e pace” il principe Andrej fissa l’azzurro del cielo, si rende conto della piccolezza della guerra (per Lev Tolstoj il riferimento storico era la guerra di Crimea del 1856) e scopre la relazione tra l’anima umana e l’infinito, non in termini di scoramento come in Giacomo Leopardi, ma in una prospettiva di Vita nuova. Il Cristianesimo sposta la realizzazione della pace in una prospettiva divina. È il solito irrealismo dei credenti? Paolo di Tarso scriveva che “ciò che si vede proviene da ciò che non si vede”. È una frase irrealista, ma anche simile all’equazione di Einstein E=Mc2. L’insegnamento del Messia non è quello delle chiese, non si sviluppa per credo e dogmi. È realista quanto il liberalismo. L’uomo assennato (liberale o no) non ha fiducia/fede nelle possibilità darwiniste e illuministe dell’umanità nel perseguire pace e giustizia da sola. Come dice Kurt Gödel, ogni sistema logico-matematico (ma includerei anche la società umana) ha bisogno di un “altro da sé” per comprendersi, per essere spiegato, per trovare un ascensore che lo porti più in alto per vedere meglio.

Il liberalismo e la democrazia funzionano meglio del fascismo, della dittatura proletaria o della socialdemocrazia uniformante. Anche il Cristianesimo autentico diffida della capacità umana di porre fine alle guerre e ai soprusi (Cristo fu laico, dato che staccava religione da politica e chiedeva la fine del sacerdozio). Per liberalismo e Cristianesimo la “salvezza” è personale e non collettiva. C’è una fiducia etica “terza”, che richiede che Stato e Chiesa siano ridotti ai servizi essenziali, pochi ma ben fatti. Niente poteri assoluti e poca burocrazia. Come applicare queste deduzioni alla guerra in Ucraina non è dato di sapere: solo la speranza di un golpe, la promessa di non ricadere mai più nell’errore di dare tempo e denaro ai sistemi tirannici. Dialogare col nemico, tenendo un bastone nel cassetto, può recare pace meglio dell’abbaiare alla luna e finire sbranato dai lupi.

Aggiornato il 03 marzo 2022 alle ore 11:51