La pantomima delle clausole di salvaguardia

In attesa che il sistema politico giunga al traguardo del nulla rappresentato dalle prossime elezioni europee, in cui non credo che ci sia niente di salvifico per l’Italietta dei debiti, il disco rotto della propaganda di Governo continuerà imperterrito a raccontarci con crescente intensità le stesse favolistiche tesi. Tra queste spicca in modo particolare quella relativa alla famigerate clausole di salvaguardia. Grillini e leghisti, in una pillola, ci tengono a sottolineare due aspetti: a) Non sono loro che hanno inventato questa sorta di spada di Damocle fiscale, bensì se la sono trovata in eredità; b) Nel caso si decidesse di esercitare l’opzione, portando l’Iva ordinaria al 25,5 per cento, lo si farebbe per la nobile causa di ridurre le tasse, eventualmente con l’ossimorica flat tax a due o più aliquote.

Naturalmente, anche a causa di una informazione nel complesso molto poco “watchdog” nei riguardi dei potenti di turno, e comunque più propensa a parlare di aria fritta piuttosto che dei noiosi conti pubblici, il popolo sovrano sembra faticare non poco per distinguere la realtà delle cose dalla propaganda delle chiacchiere. Realtà che nel caso in oggetto cozza maledettamente con gli argomenti sbandierati dai geni economico-finanziari che occupano la stanza dei bottoni.

Infatti, sebbene chi ha preceduto i giallo-verdi ha usato il “trucco” di nascondere parte del disavanzo pubblico sotto il tappeto delle citate clausole di salvaguardia, l’idea di farle lievitare nel biennio 2019/2020 di 20 miliardi di euro, portandole da 32 a 52 miliardi, anziché operare per disinnescarle definitivamente, non appare come una scelta tanto brillante, soprattutto per un Paese con alto debito come il nostro e, di conseguenza, a perenne rischio di rifinanziamento del debito medesimo.

Tuttavia è la diversa finalità, rispetto a quella degli “altri”, sbandierata dai pentaleghisti che non quadra. Mentre i Governi precedenti hanno sottoscritto queste colossali cambiali con l’Europa a causa di coperture farlocche alle loro leggi di bilancio, forzando fino allo spasimo l’articolo 81 della Costituzione, chi occupa attualmente la stanza dei bottoni sostiene di volerlo fare per ridurre e/o riequilibrare la pressione fiscale.

Lo stesso ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ospite domenica scorsa di Lucia Annunziata, ha ribadito ciò che predica da quando era un semplice professore universitario: la sua propensione a spostare una quota significativa del carico tributario dalle imposte sui redditi a quelle sui consumi. Niente a che fare con il contenimento di un deficit di bilancio che le spudorate misure elettorali dei giallo-verdi rischiano di mandare in orbita, dunque?

Eppure a tale riguardo, il capo economista di Bankitalia, Eugenio Gaiotti, in audizione presso le commissioni di Bilancio di Camera e Senato, è stato assolutamente lapidario: “Senza gli aumenti automatici dell’Iva, previsti a legislazione vigente, il disavanzo si collocherebbe meccanicamente al 3,4% del prodotto nel 2020, al 3,3% nel 2021 e al 3% nel 2022”.

In sintesi, una catastrofe finanziaria annunciata da codesti numeretti spocchiosi e antidemocratici che proprio non vogliono sapere di candidarsi alle prossime elezioni, ma che posseggono, ahinoi, una grande energia dirompente: quella della realtà dei fatti.

Aggiornato il 18 aprile 2019 alle ore 10:08