Moscovici: arsenico e vecchi merletti

Pierre Moscovici, Commissario agli Affari economici e monetari dell’Unione europea, gioca a fare il furbo con l’Italia? È francamente insopportabile, ma non prendiamocela con lui. Non è sua la colpa se il nostro Paese non conta niente nel contesto europeo. Non si tratta di una condizione di inanità esplosa nel giro di qualche settimana, sono anni che Governi inetti, espressione di maggioranze parlamentari bugiarde e ribaltoniste, hanno lavorato con certosina precisione a rendere irrilevante il peso politico dell’Italia nel contesto comunitario.

Si prenda il caso dell’ultima composizione della Commissione europea che risale al 2014. A quel tempo a Roma imperversava il “Rottamatore” Matteo Renzi. Sembrava che il futuro dell’Italia non dovesse conoscere per molti decenni a venire alcun uomo di Stato più capace di lui. Le elezioni europee furono la consacrazione del suo successo: un Partito Democratico sopra il 40 per cento non si era mai visto, neanche quando si chiamava Partito Comunista Italiano. La pattuglia italiana all’interno del gruppo europarlamentare del Partito Socialista Europeo divenne la più numerosa. Con tali evidenze favorevoli Renzi, il Telemaco vincente, avrebbe avuto il diritto di scegliere un politico nostrano di peso da collocare in una casella di prima grandezza nell’ambito della Commissione europea. Magari proprio su una poltrona agli affari economici o al commercio, che sono postazioni strategiche per gli interessi italiani. Ma le manie di grandezza del “Rottamatore” non potevano contemplare, neanche lontano da Roma, una figura di connazionale che gli potesse fare ombra. Quindi, la genialata di fare la battaglia per conquistare il classico bidone di benzina svuotato del suo contenuto. All’Italia il grande onore di indicare l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Bella cosa se non fosse che, non avendo la Comunità europea una politica estera unitaria e ancor meno una politica unica della Difesa, l’Alto rappresentante finisce per essere poco più di un complemento d’arredo nell’architettura dell’Ue. E chi scegliere per il “prestigioso” incarico? La signora Federica Mogherini, naturalmente, cioè la quintessenza del nulla. Una signora-nessuno che avrebbe dovuto essere eternamente grata al “Rottamatore” per il biglietto vincente del superenalotto donatole. Solo per una scelta del genere Matteo Renzi, se non fossimo il Paese civile e democratico che siamo, avrebbe meritato di essere passato per le armi.

Teniamoci allora Moscovici, e pure quel Valdis Dombrovskis venuto dalla Lettonia, la remota plaga baltica di appena 2 milioni 200mila abitanti che, come sostiene Maurizio Crozza tra il serio e il faceto, come monumento nazionale può vantare un parcheggio sotterraneo al centro di Riga. Non si tratta di fare i razzisti, ma come non farsi ribollire il sangue nell’ascoltare le lezioncine sui conti pubblici impartite dal maestrino Dombrovskis? E come non pensare a Renzi e al Pd che lo hanno permesso? Non può farci la morale chi rappresenta un Paese che ha ricevuto dall’Unione europea, nel 2016 tanto per fare un esempio, 734 milioni di euro avendone versati 218 milioni, mentre il nostro disgraziato Paese, nello stesso periodo, ha incassato dall’Ue 11 miliardi 592miloni di euro a fronte dei 13milardi 943 milioni versati. Con chi vogliamo prendercela? Con la Lettonia? Quando sarebbe più giusto prendere a cannonate il Nazareno. Che senso ha mostrarsi meravigliati del fatto che Moscovici nelle stesse ore in cui prova a giocare con l’Italia come il gatto con il topo, si premura di rassicurare i francesi che la Commissione europea chiuderà tutti e due gli occhi se il presidente Emmanuel Macron vorrà stabilire il record di sfondamento di tutti i deficit immaginabili. Bisognerebbe citofonare alla sinistra italiana se non fosse che da quelle parti non riescono proprio a capire quanto il loro innato servilismo verso lo straniero abbia danneggiato il Paese. Per i progressisti italiani Macron è un mito e, come tale, ha diritto ad ogni riguardo. Il fatto che il debito pubblico francese sia, in rapporto al Pil, più basso del nostro è solo un patetico pretesto. Se non fossimo i pacifici tolleranti che siamo dovremmo chiedere un trattamento sanitario obbligatorio per i “compagni” che continuano imperterriti a intonare la canzoncina del maggior debito che giustificherebbe tutto il peggio contro di noi.

Parliamo di spread. Stamane il rendimento dei decennali francesi (Oat 10 a) è allo 0,75 per cento, contro il 2,95 dei Btp italiani. Eppure lo stock del debito pubblico francese, in valori assoluti, non è distante da quello italiano. E non solo. In queste ore nel Paese transalpino imperversa la ribellione dei Gilet gialli e il terrorismo jihadista si concede il lusso di colpire nel cuore nevralgico dell’Europa, a Strasburgo, senza che la Gendarmerie nationale abbia fatto niente per prevenire e neutralizzare l’atto criminoso. Da noi, invece, la situazione è tranquilla, gli sbarchi dei clandestini sono stati fermati, i potenziali terroristi finora vengono bloccati prima di entrare in azione e ogni giorno magistratura e forze dell’ordine assestano colpi di maglio sempre più vigorosi alla criminalità organizzata. Eppure, i mercati finanziari si fidano dei francesi e non di noi. Vogliamo chiederci il perché? Non sarà forse che gli investitori “pesano” il potere degli Stati nei contesti geopolitici? Macron ha dimostrato, grazie all’asse d’acciaio con la Germania, di avere in pugno la Commissione europea, l’Italia no. Da qui la differenza di spread che è un indicatore di potenza. Viene fatto di pensare che, come italiani, non abbiamo alternative se non quella di risolverci a rompere qualche vaso di Biscuit nella cristalleria europea se vogliamo che il mercato finanziario ci prenda sul serio.

Aggiornato il 17 dicembre 2018 alle ore 10:35