Legislatura ai titoli di coda: spunta la riforma della legge elettorale

Maestà, il popolo ha fame. Che mangino brioches. È così che finisce nella polvere una monarchia che ha perso contatto con lo spirito della nazione e il sentire profondo della sua comunità e non sa più a cosa appigliarsi che non sia la propria arroganza nel restare appiccicata alla seggiola tarlata del potere. I tempi cambiano, ma gli esseri umani sono rimasti uguali a se stessi, avvinghiati alle loro ambizioni. E allora capita di scorgere accenti di allucinata follia nell’eco dei nostri tumultuosi giorni. Non c’è più Luigi XVI, non c’è Maria Antonietta. I diversamente coronati si chiamano Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti, Dario Franceschini. Come monarchi al crepuscolo dell’antico ordine, all’invocazione “il popolo ha fame”, essi rispondono: diamogli una nuova legge elettorale. Che è assai meno delle brioches offerte dai sovrani transalpini.

Ma come? Il presidente di Confindustria accusa apertamente il Governo di nascondere la verità sullo stato reale dell’economia italiana, facendo intendere che il Paese sia prossimo al collasso, e questi politici artigliati alle poltrone neanche fossero scalatori aggrappati per le unghie allo sperone della Brenva sul Monte Bianco, cosa fanno? Calendarizzano alla Camera dei deputati per il prossimo 27 luglio la discussione sulla riforma della legge elettorale. Roba da matti. Con tutte le emergenze che non trovano risposta a causa della paralisi in cui si dibatte il Conte bis, non trovano di meglio da fare che mettere mano alle regole del gioco. E poi, per cosa? Non c’è bisogno di almanaccare sulle loro reali intenzioni. Sono i diretti interessati a dichiararle con assoluto sprezzo del ridicolo: urge la riforma del meccanismo elettorale in senso proporzionale puro per impedire, in caso sempre più probabile di elezioni anticipate, che la destra coalizzata possa stravincere, come tutti i sondaggi indicano. Non c’è che dire: una nobile motivazione.

Tuttavia, non è detto che la ciambella che stanno impastando gli riesca col buco. Il modello elettorale che il Partito democratico ha tirato fuori con il consenso del Movimento cinque stelle è il cosiddetto “Germanicum”, nel senso che replica la legge elettorale tedesca. Si tratta di un proporzionale puro con una soglia di sbarramento in ingresso al 5 per cento. La sinistra, con il concorso della disperazione pentastellata, vorrebbe cancellare ogni traccia di maggioritario per impedire alla destra di conquistare un surplus di seggi attraverso i collegi uninominali. Un tale sistema avrebbe come esiti certi la sopravvivenza, sebbene ridotta, di formazioni politiche in caduta libera di consensi, come il Movimento cinque stelle e, nel contempo, lasciando le mani libere a tutti i partiti in corsa, impedirebbe che dalle urne venisse fuori una maggioranza stabile in grado di assicurare un governo di legislatura al Paese. Nel rimescolare le carte quelli del Partito democratico sono maestri.

Nulla di più facile che, all’indomani del voto, pur in presenza di una sonora bocciatura del Pd, per effetto di una qualche bizzarra alchimia parlamentare, ci ritrovassimo governati, come accade da dieci anni a questa parte, dai soliti noti Franceschini, Zingaretti, Matteo Renzi. Siamo in presenza di un caso da manuale di disinteresse totale per il bene della nazione e di esclusiva attenzione alle proprie ambizioni di potere. D’accordo che il popolo in Italia non elegge il Governo perché è in Parlamento che si compone la maggioranza che sosterrà il governo nominato dal presidente della Repubblica, ma di questo passo, a furia di calpestare la volontà degli elettori, la democrazia va a farsi benedire. Comunque, nulla è ancora deciso, e certamente non lo sarà fino alla pausa estiva. C’è Matteo Renzi che recalcitra. Perché? Non gli garba la soglia al 5 per cento. Il “Rottamatore” ha creato un partito a sua immagine che lo avrebbe dovuto riportare sulla cresta dell’onda. Invece, sondaggi alla mano, “Italia Viva” è rimasta al palo. Con un proporzionale a sbarramento la truppa renziana resterebbe fuori dai giochi. Anche la neo-formazione di Carlo Calenda, Azione rischierebbe la medesima magra fortuna. Se tale è lo scenario anche l’annunciata riforma elettorale seguirà lo stesso destino di tutte le altre grandi riforme promesse e mancate dal Conte bis.

A meno che non intervenga in soccorso dei disperati l’aiuto di Forza Italia. I commentatori sono propensi a ritenere possibile un’intesa Pd-Cinque stelle-Forza Italia sul “Germanicum”. Se fosse vero sarebbe un suicidio politico per Berlusconi e i suoi. Attualmente nei sondaggi il partito azzurro naviga appena sopra la soglia del 5 per cento. La decisione di rompere l’alleanza a destra per favorire con un gioco di sponda gli interessi dei mortali nemici “dem” e grillini non sarebbe per nulla capita dai suoi elettori. Un tradimento del genere verrebbe pesantemente sanzionato nelle urne. Forza Italia potrebbe scomparire dal radar parlamentare, altro che mani libere. L’obiezione più gettonata è che i “peones” berlusconiani, consapevoli che con il calo di consensi combinato al taglio dei parlamentari difficilmente potranno essere rieletti, sarebbero pronti a giocare la carta del proporzionale per avere qualche chance in più di sopravvivenza politica. Se questa è la motivazione è talmente stupida che chi l’ha proposta merita davvero di essere rispedito a casa a fare un altro mestiere. Fin quando vi sarà una legge elettorale che preveda l’assegnazione di una parte dei seggi col sistema uninominale e che ammetta la presentazione di candidati di coalizione, il vecchio leone di Arcore che di trattative se ne intende avrà buon gioco a farsi riconoscere dagli alleati un congruo numero di scranni sicuri per potere riportare nella prossima legislatura una rappresentanza consistente di forzisti a lui fedeli.

E Matteo Salvini, in qualità di capo della coalizione, non potrà opporre troppe resistenze alle richieste dell’ingombrante alleato. D’altro canto, anche il “Capitano” è a conoscenza di una regola non scritta del sistema delle coalizioni, quella secondo cui è sempre il partito che detiene maggiori consensi a fare da donatore di sangue ai compagni di strada meno forti nelle urne. Per riepilogare. Silvio Berlusconi, pur potendo imporre a Matteo Salvini e Giorgia Meloni le sue condizioni per stare in coalizione, si associa a Pd e grillini per approvare una legge che lo esporrebbe a rischio di scomparsa dal panorama politico e che lo metterebbe fuori del campo della destra plurale. Berlusconi nella sua vita è stato molte cose, una soltanto non è mai stato: autolesionista. Se proprio gli opinionisti volessero correttamente occupare il molto tempo libero che hanno a disposizione in questa estate caldissima, provino a seguire i cambi di casacca in Parlamento. I grillini che siedono in Senato sono come ciliegie: ad una ad una stanno finendo nel cappello leghista. La deadline del 20 luglio per andare a votare in autunno non è stata raggiunta. E non è detto che nei prossimi giorni non accada qualcosa di straordinario che stravolga l’odierno scenario politico. Tutto è ancora possibile. D’altronde, quanti risultati di partite di calcio sono stati ribaltati al 92esimo o al 95esimo in pieno recupero, quando gli spettatori avevano già lasciato gli spalti?

Aggiornato il 06 luglio 2020 alle ore 11:10