Tassi di interesse e crisi valutaria

È dall’inizio di quest’anno che politici e commentatori finanziari inveiscono contro gli aumenti dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea. Ora, lungi da me difendere questa istituzione e il suo capo, Christine Lagarde, ma vorrei spiegare perché, dato l’attuale contesto economico-politico, non c’è alternativa al mantenimento di alti tassi.

Innanzitutto, sembra che fino ad oggi non sia successo niente. Facciamo un rapido sunto. Nel 2008, la Bce ha iniziato ad andare in tilt, tagliando i tassi di interesse, prima in reazione alla crisi finanziaria globale, poi in reazione alla crisi del debito dell’Eurozona, a seguire in assenza di crisi, per consentire la spesa incontrollata dei governi, soprattutto quello italiano, incurante di annegare nel debito. E, infine, ha ridotto i tassi in reazione alla crisi pandemica.

Prima osservazione: l’idea di salvare l’economia o di stimolare la crescita attraverso i vari quantitative easing, mantenendo tassi di interesse bassi, era completamente fallita già prima del Covid per il semplice fatto che è un’idea falsa. I tassi di interesse agiscono da stimolo fino a un certo punto: dal 2008 sono solo serviti a mantenere l’Eurozona in terapia intensiva. Quando nell’economia il più grande e singolo debitore è il Governo, la riduzione dei tassi di interesse non funzionerà mai, perché sarà lui solo a beneficiare dell’impatto in quanto si indebita sempre, comunque e con priorità in modo irresponsabile rispetto al settore privato con cui compete e a cui sottrae la vera crescita. Quando poi manca la fiducia nel futuro e si vive nell’insicurezza, non si fanno investimenti, anche azzerando gli interessi. Questo è un concetto da scolpirsi bene nella mente: l’economia non può funzionare quando il principale debitore, lo Stato, consuma la capacità produttiva del settore privato, facendo crescere solo deficit, tasse e creando incertezza. Ed è infatti quello che è successo fino a oggi.

Il peggio è avvenuto verso la fine del 2014 quando, con l’imposizione di tassi di interesse negativi (una vera e propria tassa sulle riserve bancarie) si è minato il mercato del debito sovrano globale, mettendo in moto il declino dell’attuale sistema valutario con la fuga di capitali dall’Europa e l’inizio del mercato rialzista del dollaro. La liquidità creata dai vari quantitative easing, infatti, ha trovato prima di tutto la strada verso gli Stati Uniti, che hanno sempre mantenuto tassi di interesse positivi. Purtroppo, quando il dollaro si apprezza in modo cospicuo, agisce da palla da demolizione per gran parte dell’economia mondiale indebitata in questa valuta, creando volatilità e scompiglio in tutto il mercato valutario.

Dunque, quando nel 2019 Christine Lagarde ha preso il comando della Banca centrale europea, ha ricevuto dal suo predecessore, Mario Draghi, una vera e propria patata bollente. Ovviamente la crisi è peggiorata quando, nel 2021, è esplosa l’inflazione negli Stati Uniti e i tassi di interesse, tenuti per bassi per anni, sono stati aumentati facendo crollare i prezzi obbligazionari, invertendone la tendenza al rialzo di oltre trentacinque anni. La Banca centrale americana, la Federal Reserve che, per chi non lo sapesse, agisce praticamente da Banca centrale mondiale, (finanziando con linee di credito swap le principali Banche centrali), per evitare il rialzo del dollaro che avrebbe danneggiato l’export statunitense, ha costretto la Bce ad alzare i tassi europei, col risultato però di scatenare una terza e più grave crisi del debito europeo di lungo termine. I successivi aumenti dei tassi di interesse fino a oggi sono la conseguenza della spaccatura del mondo in due parti, dovuta al conflitto russo-ucraino. Chi, dunque, investe nel lungo termine di fronte a una guerra senza fine? Da qui la crisi del debito sovrano.

In ogni crisi passata si acquistavano obbligazioni sovrane come un rifugio sicuro. Ora, man mano che la fiducia nei governi diminuisce, la contrazione della domanda di debito pubblico fa salire i tassi di interesse, per riflettere il fattore di rischio politico. L’economia è sempre una questione di fiducia. Il crollo della liquidità delle obbligazioni a lungo termine dovuto all’escalation del debito è ormai anche al di là delle capacità di assorbimento delle principali banche. Un nuovo quantitative easing da parte della Bce, invocato dagli ingenui, non salverebbe affatto la situazione, ma la peggiorerebbe perché la nuova liquidità sarebbe subito “catturata” dall’economia americana relativamente migliore rispetto a quella europea, mentre l’euro si deprezzerebbe sotto la parità rispetto al dollaro.

Christine Lagarde ha dunque scelto di salvare l’euro, aumentando i tassi di interesse ma svalutando giocoforza tutto il debito obbligazionario (i tassi variano in modo inverso ai prezzi). In assenza di crescita economica reale non aveva alternative. La Banca centrale non sarà tuttavia in grado di contenere gli aumenti dei prezzi al consumo, anche perché l’agenda per ricostruire meglio, basata sull’eliminazione dei combustibili fossili e sul finanziamento di energia antieconomica, aumenterà tutti i costi mantenendo alta l’inflazione.

Il sistema valutario si sta comunque autodistruggendo a un ritmo allarmante e le persone realmente al potere, i banchieri centrali e coloro che stanno dietro di loro, lo sanno. Ecco perché si stanno preparando uno swap di valuta digitale che sarà la scusa perfetta per cambiare la struttura del debito senza default catastrofici. Ma anche per racchiudere le persone in un sistema orwelliano che monitora e controlla ogni centesimo guadagnato, risparmiato e speso.

Aggiornato il 04 ottobre 2023 alle ore 09:17