La proposta del salario minimo per legge è un errore

La produttività non si aumenta per decreto

L’errore che la maggior parte delle persone commette riguardo il salario è di collegarlo al tempo. Le persone non vengono pagate per dare il loro tempo all’impresa. Le persone vengono pagate per la loro capacità di creare valore aggiunto durante il processo produttivo. Quindi, il salario, la remunerazione, è collegata alla produttività. Maggiore la produttività, maggiore il salario. Sganciare il salario dalla produttività, creando un automatismo come il salario minimo, significa pagare troppo persone che creano poco valore aggiunto e pagare poco persone che creano un alto valore aggiunto.

Il salario minimo imposto per legge è per definizione sganciato dalla produttività e ha quindi un valore assistenziale; ma se il problema è la sussistenza, essa rientra tra i cosiddetti “diritti sociali” e non tra i diritti di libertà. Quindi, l’onere relativo deve ricadere, semmai, sulla collettività, sulla intera comunità, sulla società, appunto, e non su soggetti specifici, in questo caso le imprese.

Gli effetti negativi del salario minimo obbligatorio ricadono sui lavoratori meno qualificati e più marginali, cioè proprio quelli che l’introduzione del salario minimo si propone di avvantaggiare. Perché un salario minimo più elevato non rende i lavoratori più produttivi: li rende semplicemente più costosi, con il rischio di rendere disoccupati coloro il cui lavoro vale meno del salario minimo imposto.

A dimostrazione che il salario segue la produttività e la domanda di lavoro, colf e badanti percepiscono salari di oltre 10 euro l’ora nonostante il contratto collettivo lo fissi a 5: perché sono figure richieste dal mercato e i datori sono disposti a offrire di più di quanto siano obbligati aderendo ai Ccnl. Inoltre, coloro che propongono il salario minimo a 9 euro, sembrano non conoscere bene i dati. Facciamo un esempio: prendiamo un lavoratore con mansioni di lavapiatti/pulizia in cucina. Il Ccnl del comparto turismo-pubblici esercizi lo inquadra al livello 7, con una retribuzione mensile lorda di 1293 euro, che corrisponde a 7,52 euro lordi e a cui corrisponde una retribuzione mensile al netto delle ritenute di 1.115 euro, pari 6,48 euro netti l’ora. Quindi, la retribuzione prevista per quella mansione dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore turismo-pubblici esercizi è attualmente inferiore alla proposta di salario minimo di 9 euro lordi. Quanto costa attualmente all’azienda quel lavoratore? Il 99 per cento delle persone non ne è a conoscenza. Non perché le persone siano stupide o ignoranti, ma a causa del complesso sistema del sostituto d’imposta, che prevede che le ritenute contributive, assicurative e fiscali siano versate non dal lavoratore ma dal datore di lavoro e che molti emolumenti siano differiti (mensilità aggiuntive, ferie, permessi retribuiti, Tfr). Per cui il calcolo risulta complesso.

Ripetiamo: quanto costa effettivamente all’anno quel lavoratore? L’importo è pari a 26.715 euro, ovvero a 2.226 euro mensili. Ossia, un costo del lavoro orario pari a euro 12,94 euro. Quindi, l’impresa sostiene un costo del lavoro di circa 13 euro l’ora per avere alle sue dipendenze quel lavoratore con mansioni di pulitore generico di cucina, nonostante la retribuzione lorda oraria (che è cosa diversa dal costo del lavoro orario) sia inferiore ai 9 euro proposti da alcune forze politiche.

Ma quanto costerebbe all’impresa quel lavoratore se venisse introdotto il salario minimo a 9 euro lordi l’ora? Il costo annuo salirebbe a 31.552 euro, ovvero, a 2.629 euro lordi mensili pari a un costo del lavoro orario di 15,29 euro. Un costo troppo alto per la maggior parte dei ristoranti per il tipo di mansioni svolte. Quindi, nel caso del pulitore di cucina, il salario minimo avrebbe l’effetto di spingerlo nella zona grigia del lavoro irregolare. Come si fa, allora, a migliorare la retribuzione netta di quel lavoratore, senza aumentare il costo totale orario del lavoro che, per l’impresa, è attualmente pari a circa 13 euro l’ora? Semplicemente, diminuendo le aliquote contributive e fiscali (anche quella a carico impresa che attualmente sono ad oltre il 30 per cento).

Per fare chiarezza ed evitare che si diffondano dati non veritieri su quanto davvero le imprese pagano i loro lavoratori, servirebbe abolire il sostituto d’imposta. La tassazione poco chiara, poco trasparente, in sintesi, occulta (basta chiedere a qualunque lavoratore quale sia la sua retribuzione annua lorda, nessuno saprà rispondere esattamente), attuata con il meccanismo della ritenuta alla fonte, causa una divisione di intenti tra lavoratori e datori e una distorsione del mercato del lavoro. L’Italia ha i contributi e il cuneo fiscale tra i più alti d’Europa.

A dimostrazione di quanto sopra esposto, se ai lavoratori fosse erogato l’intero costo del lavoro, essi, al momento della dichiarazione dei redditi annuale, in cui dovrebbero autoliquidare le imposte e i contributi, avrebbero contezza, come accade per imprese e autonomi, della reale pressione fiscale e contributiva che essi subiscono e si attiverebbero, insieme ai datori di lavoro, per chiederne la riduzione e verificare l’efficienza e l’efficacia della spesa pubblica. Si realizzerebbe, in tal modo, una consapevolizzazione dei lavoratori su quanto davvero le imprese li pagano. I detrattori di questa proposta di riforma, di grande civiltà giuridica, obiettano che farebbe aumentare l’evasione: ma questa è una accusa infondata e molto offensiva nei confronti di tutti i lavoratori dipendenti onesti.

Il vero timore dei detrattori, e che nessuno ha il coraggio di dichiarare, è che se i lavoratori dipendenti sapessero esattamente quanto pagano (dovrebbero versare anche la quota contributi attualmente a carico azienda e di cui non hanno contezza), lo tollererebbero a fatica.

Per questo si è scelto di non farlo in modo trasparente e aperto, bensì in maniera surrettizia e occulta, con la ritenuta alla fonte del sostituto d’imposta. Se ai lavoratori fosse consegnato l’intero importo del costo del lavoro sostenuto dalle imprese, essi ne chiederebbero la riduzione e si attiverebbero per conoscere come lo Stato impiega davvero i loro soldi.

Aggiornato il 08 settembre 2023 alle ore 13:32