Dietro le quinte della politica monetaria

La fine del 2022 ha chiuso un’epoca del sistema finanziario, durata venticinque anni, che si potrebbe chiamare come l’era delle bolle seriali, un periodo in cui le banche centrali, manipolando i tassi di interesse, hanno stimolato bolle speculative sempre più grandi e in settori via via di maggiore rilevanza sistemica. Quando le bolle “scoppiano”, i prezzi dei prodotti o le attività finanziarie interessate collassano, facendo fallire di conseguenza aziende e interi settori.

La prima grande bolla è stata quella tecnologica, scoppiata alla fine degli anni Novanta negli Usa. In quel periodo, anche il più sprovveduto degli analisti guardando il grafico del Nasdaq – il mercato azionario dei titoli tecnologici – avrebbe capito che non sarebbe finita bene. Sebbene limitata a una particolare classe di attività, questa bolla ha avuto un impatto devastante anche al di fuori degli Stati Uniti. Tuttavia, entrati nel nuovo secolo, la Banca centrale americana (Federal Reserve) stimolava un’altra bolla ma in una classe di attività di maggiore importanza sistemica: quella del settore immobiliare, la cosiddetta bolla dei subprime che, scoppiando nel 2008, innescava la peggior crisi economica e finanziaria dai tempi della Grande depressione e dalla quale, in verità, non ci si è mai ripresi.

Cosa è successo dopo questa crisi? Le principali banche centrali, rastrellando titoli sovrani per spingere i rendimenti al ribasso e permettere ai governi di finanziare a basso costo un debito sempre crescente, hanno creato la bolla più grande di tutte e in corso di combustione: quella del debito sovrano. La crisi è iniziata quando, esplosa l’inflazione nel 2021, i tassi di interesse – tenuti per anni artificialmente bassi – hanno cominciato a salire, facendo crollare i prezzi obbligazionari e invertendo, così, una tendenza al rialzo di oltre trentacinque anni. Ciò ha minato praticamente ogni portafoglio di investimento, in particolare quello delle banche dove il debito pubblico ha funzione di riserva. È fatale che, crescendo la potenzialità di insolvenza sistemica, il denaro si rifugi nel brevissimo termine e la domanda di debito a medio e lungo termine tenda a svanire. La crisi dei mercati dei titoli di Stato, attraverso i quali le banche centrali conducono la loro politica monetaria, ha quindi minato in modo definitivo la loro capacità di stimolare l’economia. E senza un mercato dei titoli di Stato funzionante, i governi corrono il pericolo di non poter più finanziare i loro programmi sociali. Questa, in sintesi, la crisi del debito sovrano.

Poiché i flussi di capitali puntano ancora verso gli Stati Uniti, i problemi restano soprattutto in Europa, che si trova in trappola. Avendo mantenuto i tassi negativi dal 2014, tutte le obbligazioni vendute fino a oggi stanno perdendo denaro. Pertanto, da una parte, non è più possibile raccogliere capitali senza alzare il costo del denaro; dall’altra, l’aspettativa di continui rialzi di tassi, con la prospettiva di ribassi di prezzi delle obbligazioni, ne pregiudica la domanda. Poiché la funzionalità del mercato del credito dipende dai titoli sovrani che stanno a fondamento del sistema finanziario, la diminuzione della loro domanda sta innescando una nuova crisi di liquidità.

Ora, però, per capire le vere tendenze è necessario guardare dietro le quinte delle politiche monetarie. Innanzitutto, perché i tassi di interesse continuano a salire? Solo per l’inflazione? No, storicamente, i tassi crescono quando il rischio geopolitico aumenta. C’è una guerra in corso tra Russia e Ucraina che, purtroppo, sta facendo precipitare il mondo verso la terza guerra mondiale. La débâcle del debito sovrano dei governi occidentali è peggiorata, perché la Cina ha in corso di preparazione un’azione militare per prendere il controllo di Taiwan e sta liberandosi delle obbligazioni statunitensi ed europee, per evitare il loro congelamento da parte delle future sanzioni statunitensi, come è avvenuto per la Russia. La liquidazione del debito sovrano occidentale è anche la causa dell’aumento del prezzo dell’oro che non è conseguenza dell’inflazione, come è stato scritto in questi giorni. Il rialzo del metallo è dovuto agli acquisti del Dragone proprio perché, in tempo di guerra, non si detiene il debito di potenziali nemici mentre l’oro, che non è come il debito la passività di nessuno ma rappresenta solo se stesso, consente la perfetta neutralità finanziaria rispetto all’Occidente.

Intanto l’Italia, troppo impegnata a guardarsi l’ombelico politico, sembra non rendersi ancora conto di cosa stia succedendo a livello mondiale e continua a pensare che l’epoca di finanziarsi sulla base di prestiti senza fine, e senza l’intenzione di ripagare mai il debito, possa durare ancora. Per questo, vede la Banca centrale europea come un Istituto dominato da falchi che non vogliono assorbire il suo debito ritenuto ridicolmente “sostenibile”. Ma la Bce non è quell’istituzione miracolosa in grado di liberare i governi dalle conseguenze del loro nefasto operato. La Bce è il più grande creditore individuale dei Paesi dell’euro. Ed è quindi una banca completamente minata dallo scarso merito creditizio dei suoi debitori. Se dovesse applicare le sue regole di vigilanza alle banche che controlla, la Bce risulterebbe completamente insolvente. Ma siccome il suo bilancio ha un significato diverso da quello di una comune banca commerciale, non sarà lei a essere insolvente ma la valuta che rappresenta.

Aggiornato il 18 gennaio 2023 alle ore 11:24