Recovery, l’Italia e la preoccupazione della Bce

La Banca centrale europea, come emerso dai verbali dell’ultima riunione di gennaio, ha espresso una forte preoccupazione per la lentezza con cui diversi Paesi europei stanno procedendo in ordine ai progetti che dovrebbero supportare la erogazione del Recovery fund.

I motivi di queste ambasce sono diversi, ma – in Italia – ce ne è uno ben individuato e su cui, almeno, il Governo di Mario Draghi potrebbe mettere finalmente la parola “fine”. Perché qui da noi – da sempre – l’innovazione si è scontrata con un sistema autorizzativo-bradipo: del tutto farraginoso e illiberale. Troppo inibito da una politica di sapore assistenzialistico e pure da un sistema procedurale di fatto “stalagmitizzato”. Con leggi e procedure che si sovrappongono le une alle altre: dentro un livello di spesa pubblica di fatto obeso, che soffoca l’iniziativa privata. Questa è la cappa di nebbia che si deve dissolvere per avere un po’ di credibilità economica.

Riuscirà a farlo il Governo Draghi? A ben vedere, è proprio qui che va misurata la qualità del suo lavoro. Perché, subito dopo la pandemia, la funzionalità degli investimenti sarà essenziale. Proprio a questo dovrebbe servire la grande unità che ieri ha prevalso. Sì, dovrà maneggiare con cura la “nitroglicerina” (se così si può dire) posto che la sentinella della procedura è una magistratura che fa il proprio dovere, solo applicando (anche con interpretazioni) le leggi esistenti, che non fanno altro che riproporre lente consuetudini procedurali. Sta tutto qua lo scontro tra una buona politica e la buona burocrazia: nel contrasto che finisce, in definitiva, per frenare il progresso di cambiamento. In più, se aggiungiamo a ciò che pure il troppo elevato livello di spesa pubblica comprime sia il legislatore che l’esecutivo entro delle gabbie troppo anguste per ogni fantasia creatrice, il gioco è completato.

Non ci è dato di sapere come e quando Mario Draghi riuscirà disarticolare questo perverso meccanismo, ma proprio la sua alta figura – è stato pure un direttore generale al ministero del Tesoro – possiede senz’altro la chiave di apertura di quel forziere. Egli ha indicato il “modello Genova” come esempio da seguire. Ma che cos’è quel sistema, a ben vedere, se non la messa in disparte della politica e pure delle norme autorizzative che, di fatto, stanno impacciando tutto e tutti? Anche il sistema del Mose a Venezia (al di là dei molti e immondi episodi corruttivi, pur sempre possibili) è scaturito proprio da una “legge speciale”. Sta tutto qui il punto critico dell’Italia, con la troppa normativa vigente e l’alto livello di deficit, che frenano l’efficienza e sono anche in palese conflitto con la tempistica europea. “Non esiste un prima e un dopo”, ha detto Draghi al Senato. Noi potremmo sognare il “dopo” a patto che venga cancellata gran parte del “prima”, signor presidente.

Aggiornato il 19 febbraio 2021 alle ore 12:23