Per l’imposta giusta

La tentazione di frodare il fisco è sempre stata patologicamente irreversibile, anche se pagare l'imposta sarebbe un obbligo di coscienza che ha la sua radice remota nella legge naturale, un obbligo che le norme positive confermano. Non esistono maggioranze o minoranze al governo dello Stato o degli enti locali: tutti dovrebbero essere dei buoni cittadini. Perché l'imposta non è strutturata per assicurare il soddisfacimento del bisogno di un singolo, autonomo nella sua individualità, ma per sviluppare e articolare servizi e vantaggi generali di beni comuni, di necessità che devono essere soddisfatte un po' come se fossero la condizione primordiale che funge da presupposto alla vita comunitaria. Però la tentazione di evadere, o di eludere (pagando di meno) è pure comprensibile.  

Ogni maggioranza di governo ha sempre posto, da qualche lustro in qua, al primo punto il mantra dell'abbassamento delle tasse per famiglie e imprese. Ma una vera riforma non potrà mai partire se prima non si realizzerà una vera moralizzazione del sistema statale, locale e di servizi, che -di conseguenza- toccherà la massa dei contribuenti. E' lo Stato che dovrebbe muovere il primo passo: potenziando gli organi di accertamento e di controllo, abbandonando il sistema del ricorso a vetuste verifiche con coefficienti generici, favorendo il controllo reciproco tra cittadini, distinguendo tra organi fiscali di controllo e quelli di decisione, per favorire la semplificazione in direzione di una nuova giustizia distributiva. Perché proprio le imposte eccessive sono il peggior incentivo alla frode fiscale e alla corruzione diffusa dei funzionari. Riuscirà il nuovo governo a creare dei nuovi rapporti di fiducia tra contribuenti e fisco? Spezzando la spirale della slealtà e della pseudo-furberia? Perché se una imposta unica è del tutto utopica in Italia, quella multipla dovrebbe essere più produttiva e perequata.

Aggiornato il 13 settembre 2019 alle ore 13:11