Il corpo-soggetto: un paradigma liberale/16

Il Corpo del Potere

Politica ‒ in greco antico, da πόλις, e politikasignifica le cose che riguardano la polis, ovvero la città, la comunità, in altre parole, si trattava dello Stato che era in essere e in vigore allora. Una città composta da individui, da persone, da corpi, i quali possono essere più o meno spinti ad occuparsi di cose che vanno oltre sé stessi, le proprie famiglie, i propri affetti, il proprio mestiere, e dunque, a prendere parte alle decisioni che li riguardano tutti, come comunità.

La democrazia ateniese della polis è sempre stato il modello virtuoso della “democrazia diretta”, della partecipazione attiva di tutti alle cose che riguardano la collettività. Proprio per questo bisogna osservare come vi fosse un forte biasimo per coloro che, da cittadini liberi, erano ripiegati su sé stessi e sulla propria vita, senza dare un segnale di interesse e di partecipazione alla cosa pubblica. Anche a Roma, in seguito, i liberti, che non erano cittadini completamente liberi, o gli schiavi, come era ad Atene, non avevano accesso alle assemblee cittadine, accesso che andava dunque considerato come un privilegio, gelosamente custodito dagli uomini e dalle donne libere.

Questo “impegno” del cittadino nei confronti di ciò che è comunitario e collettivo può certamente dipendere da tante cose. Ad esempio, dalla percezione che si ha di possedere qualcosa di originale o di nuovo da dire, da proporre, una preoccupazione, un bisogno, un proposito, ma anche un’aspirazione o un’ambizione specifica di manifestarsi o di esprimersi. Abbiamo già evidenziato come queste dimensioni trovino tutte origine comune nella percezione che si ha del proprio corpo, e dunque dipendono dal fatto che, in ultima analisi, si percepisca di essere-corpo, con sicurezza e con forza, o se in sé prevalga la percezione di avere-un-corpo, da custodire, da proteggere, da difendere dal mondo.

Abbiamo infatti visto in precedenza come una percezione di sé di soggetto attivo, nel flusso della vita, da parte di una persona che si sente di essere-corpo, dia indiscutibilmente più possibilità al suo possessore di divenire protagonista della propria esistenza dal punto di vista lavorativo, professionale – rendendolo quindi capace anche di assumere una veste esposta e pubblica – rispetto a un’altra che percependo con più nitore di avere-un-corpo, si ritrovi frenata nel suo aderire ad un’azione che dispieghi la propria personalità. E sembra evidente come questa percezione abbia una importante influenza sulle scelte che si fanno nei confronti dell’impegno collettivo, o della battaglia politica.

La concezione antica della schiavitù, invece, in barba alla percezione individuale vissuta dalla persona in questione, e a dispetto delle sue intime propensioni di attività e di libertà, istituzionalizzava praticamente l’esistenza in società di veri e propri corpi-oggetto, ovvero di corpi che non si possedevano-per-sé, ma che appartenevano a un padrone, condizione, dunque, che impediva a quell’avente-un-corpo di ottenere ogni diritto di cittadinanza e dunque tanto più proibiva di assumere direttamente una partecipazione alla vita attiva e all’impegno politico.

Lo schiavo, pertanto, è proprio l’emblema del corpo-oggetto per definizione.

Gli schiavi e i sudditi, dunque – come del resto avvenne in tutte le civiltà e in tutti i periodi storici – possono essere facilmente definiti come il prototipo del corpo-oggetto, dove la sostanziale differenza che va registrata dall’analisi e dalla descrizione svolta finora è che l’avere-un-corpo da parte dello schiavo era una decisione esterna alla propria volontà, in quanto deliberata dal Potere, invece di essere una semplice percezione del soggetto in questione.

Inoltre, se il percepirsi corpo-oggetto comporta l’essere innanzi tutto oggetto di sé stessi, lo schiavo possiede un padrone specifico mentre il suddito è oggetto dell’autorità e dunque del Potere, che qui assumeremo come impersonale, per una semplificazione narrativa e per evitare una analisi di tipo strettamente politica o costituzionale.   

Per diversi secoli, l’insegnamento della storia, sia quella antica che quella medievale e moderna si è diramato lungo un percorso fatto di dinastie, di monarchi, di santi, o papi, di guerrieri, di eroi religiosi e militari, condottieri e generali, di persone nobili o ecclesiastiche, o, tutt’al più dei capipopolo, le cui vite fungevano da collante tra un momento ed un altro per spiegare le onde storiche, i suoi golfi e le sue rientranze, le rivoluzioni o le involuzioni, mentre il succedersi degli avvenimenti, delle battaglie e degli eventi specifici segnava le epoche, contraddistingueva i periodi e definiva le pieghe storiche e i suoi cambiamenti.

Era questa la cosiddetta Macrostoria, quella che viene ancora insegnata alle scuole elementari e medie. Nel XX secolo nella scuola di storiografia francese, di cui Pirenne fu iniziatore, Bloch, un testimone, e Le Goff e Duby, ottimi riformatori, prese piede la cosiddetta Microstoria. Dagli anni 90 si sviluppò così un filone legato alla “vita quotidiana” nelle varie epoche, per consentire a tutti di comprendere come l’uomo comune vivesse la sua esistenza.

Si è già accennato al diramarsi storico della percezione corporea, sviluppato da Elias, che ha inteso descrivere i cambiamenti nel rapporto che l’individuo comune nei secoli ha intrattenuto con il corpo, proprio ed altrui, ad esempio attraverso il cambiamento avvenuto nella soglia sociale del disgusto. Una progressiva civilizzazione e una razionalizzazione del corpo ha con il tempo inquadrato il corpo degli individui in regole più o meno rigide e in una intelaiatura di divieti e impedimenti di tipo sociale, o di tipo strettamente civile e politico.

Un interessante filone antropologico e sociale, sempre francese, avviato da Marc Bloch e proseguito da André Lebreton, partendo dal sacro corpo del Re, definito “taumaturgo”, e quindi capace con l’imposizione delle mani, di guarire dalle scrofole e da altre malattie, finiva con il definire l’evoluzione della corporeità nella sua relazione con il Potere e l’autorità.

Il re taumaturgo è infatti un Potere chiaramente incarnato: l’autorità, in altre parole, è visibile e individuata con chiarezza.

Ponendo l’inizio di questa relazione duale individuo-Potere nella democrazia ateniese del VI secolo a.C. si può dunque intuire come essa si sia evoluta. Nella democrazia diretta ateniese – spezzando il legame con il passato, durante il quale regnanti e imperatori di origine nobile, e finanche fatta passare per divina, mantenevano il massimo della distanza dal corpo dei governati – il contatto corporeo raggiunse il suo zenit, e l’autorità veniva conferita a qualcuno che, tra loro, veniva scelto come più degno o semplicemente migliore, certo più adatto a ricoprire una carica politica, che era dunque elettiva.

È un processo che poi si replica a Roma, dove ai primi leggendari sette re, succede la repubblica, guidata da consoli che duravano in carica un anno, con cariche amministrative a rotazione tra i cittadini che, in questo modo continuavano a contare e ad avere un contatto diretto con i corpi dei loro governanti, senza divenire una casta separata dalla massa di governati. Si trattava certo di una fase, perché poi tornò l’impero, e questo tornò dopo che il corpo – quanto ci potrebbe essere di più tangibile e visibile? – di Giulio Cesare venne trafitto 24 volte.

Il corpo dell’imperatore si farà progressivamente e nuovamente distante, come già avvenne con Alessandro Magno e i re persiani, verrà divinizzato e fatto oggetto di adorazione spirituale. Il legame dell’autorità politica con quella spirituale, espressa, ed unta, dal papato, darà ancor di più manforte all’allontanamento del corpo del potere dai sudditi, sancendo una separazione quasi definitiva, che si protrasse nel Medioevo, almeno fino ai Re taumaturghi.

Nel caso specifico, infatti, il corpo del re, che restava santificato, assunse una funzione diretta nella società dei governati. Si palesò, in altre parole, come poche volte era accaduto fino a quel momento. Era sacro, come del resto accadeva ad ogni elezione di papa, santificato al più presto dalle autorità ecclesiastiche.

L’impatto significativo del corpo del re taumaturgo sui governati si mosse di pari passo con la crescita della borghesia cittadina e mercantile, con la consapevolezza del pensiero laico e con la progressione civile dei diritti dei governati, che iniziarono a far breccia nelle società europee. Il Potere aveva una duplice accessione: era divino, immobile e irraggiungibile, seguiva una linea dinastica inaccessibile ai non nobili, ma tornava ad essere anche mortale e umano, come traspariva ad ogni successione, quando si instaurò la massima “the King is dead” e si augurava “long life to the King”.

L’età delle rivoluzioni – la gloriosa rivoluzione inglese, quella americana e infine quella francese – rese sicuramente il potere più avvicinabile e tangibile anche dal punto di vista corporeo, e cominciò a occuparsi anche dei diritti del corpo dei governati.

Habeas corpus, che significa letteralmente che tu abbia il corpo, è una locuzione latina utilizzata nei sistemi giuridici di common law, per indicare l’ordine emesso da un giudice di portare un prigioniero al proprio cospetto, per verificarne le condizioni personali ed evitare una detenzione ingiusta. L’spressione è infatti la contrazione di una formula consuetudinaria più estesa, con la quale una corte di giustizia ordinava all’autorità di presentare il detenuto alla corte stessa.

Il diritto di habeas corpus richiede la sussistenza di precisi presupposti giuridici per poter limitare la libertà di una persona e nel corso della storia è stato un importante strumento per la salvaguardia della libertà individuale contro l’azione arbitraria dello Stato. In realtà già dalla Magna Charta, N. 39, linea 40, proviene che: “Nessun uomo libero può essere arrestato, imprigionato [...] o danneggiato in alcun modo, eccetto dal giudizio legale dei suoi pari e dalla Legge del Paese”. Questo testo (writ) è citato nelle fonti del diritto inglese fin dal 1305. Ma l’Habeas Corpus Act, emanato il 31 maggio 1679 da Carlo II d’Inghilterra, ha codificato l'emissione di questo decreto ripristinandone la piena efficacia, che nel tempo si era parzialmente affievolita nella pratica delle corti giudiziarie.

Il diritto all’habeas corpus fu una volta per tutte consacrato grazie al Bill of Rights della Gloriosa rivoluzione inglese del 1688-89; da qui è poi passato in tutte le costituzioni liberali occidentali. Il writ di habeas corpus è detto anche Great writ per la sua importanza fondamentale nel sistema di diritto inglese.

La sua importanza può meglio essere compresa se si considera che originariamente ogni suddito poteva essere soggetto a una pluralità di giurisdizioni locali e signoriali, che potevano disporre fisicamente del soggetto, imprigionandolo e spesso torturandolo senza accuse concrete (che si volevano ottenere con la tortura). Con l’emissione del writ di habeas corpus una corte reale poteva ordinare a qualsiasi altra giurisdizione la consegna del prigioniero garantendolo dallarbitrio signorile. Su richiesta della persona arrestata, con il writ il magistrato ordina l’esibizione del corpo avanti a sé in udienza per verificare se egli sia ancora vivo o la sua salute non compromessa dai maltrattamenti fisici.

La gloriosa rivoluzione diede inizio all’era delle costituzioni e delle future democrazie, inizialmente elitarie e poi via via più diffuse e popolari. A momenti democratici, nei quali il Potere fu in mano a corpi “anonimi” e provenienti dalle fila degli stessi governati – periodi contrassegnati dalla democrazia – si succedettero periodi nei quali il corpo dell’imperatore o dello zar entravano in scena e diventavano preponderanti ed essenziali per le ritualità e i meccanismi del potere. Napoleone, con il suo orecchio e la sua mano nel panciotto, o Francesco Giuseppe, Pietro il Grande, e le loro lunghe barbe, o si trattasse di dittatori, Lenin, con il suo “pizzetto” e la sua dialettica, Hitler, con il baffetto singolare e il vibrare della sua rabbia oratoria, Mussolini, con la sua calvizie e la sua mascella volitiva, Mao.

Ma nel XIX secolo, apparve all’orizzonte un nuovo potere, molto meno tangibile, molto meno corporeo e anche molto più occulto, quello della finanza e dell’economia bancaria. Un potere che inizia nel 1815, con la fortuna dei Rothschild, avviata con Waterloo, e con la loro capacità di conoscere in anticipo le sorti della battaglia più importante dell’intero 1800 e con una abilità particolare nel manipolare le notizie. L’influenza del potere economico e finanziario sulla politica e quindi sulle sorti dei popoli e sui loro corpi divenne crescente, come una eminenza grigia, sempre godendo di grande invisibilità ed evanescenza, inversamente proporzionali rispetto alla sua potenza.

In altre parole, si affermava nel mondo una entità completamente “impersonale”, del tutto disincarnata, incorporea. Si tratta di un terzo personaggio, dopo il Corpo-soggetto e il Corpo-oggetto, che cresceva e si instillava nella società, come un Giano bifronte, costituito dal connubio drammatico tra Autorità politica e Potenza economica. Con esso l’Avere-un-corpo e l’Essere-corpo, il Corpo-oggetto e il Corpo-soggetto devono assolutamente avere a che fare: il Potere impersonale.

(*) Leggi i capitoli precedenti: 1, 2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,15

Aggiornato il 18 gennaio 2024 alle ore 13:15