Il corpo-soggetto: un paradigma liberale/4

Analisi fenomenologica di un conflitto sociale

Essere–corpo vs avere–un–corpo

Se comprendere un corpo, in particolare il corpo umano, come un oggetto non richiede un particolare sforzo intellettivo, occorre ora svelare cosa sia il Corpo-soggetto della Fenomenologia: il corpo visto dal punto di vista dell’Essere. La premessa fenomenologica – posta da Marcel e poi portata avanti con rigore da Maurice Merleau Ponty – è che “il corpo è il mio punto di vista sul mondo”. Per Merleau Ponty, se si tenta di pensare il corpo come un insieme di “funzioni” e percezioni – emozioni, vista, motilità, sessualità –, queste non sono collegate tra loro e al mondo esterno da rapporti di causalità, propri delle scienze fisiche, ma sono “coinvolte in un dramma unico”. Sia che si tratti del mio o del corpo altrui, “ho un solo modo di conoscere il corpo umano: viverlo; e cioè fare mio il dramma che lo attraversa. Io sono dunque il mio corpo, nella misura in cui io ho un’esperienza. Il corpo non è – e non potrà essere – quindi un oggetto”. Le parole, di stampo “esistenziale”, del filosofo francese – per il quale il dramma esprime l’intensità del nostro vivere – ci dicono che “il corpo esprime l’esistenza totale, dato che questa esistenza si realizza nel corpo, attraverso le esperienze”. Il Corpo – come schema corporeo – è soggetto incarnato e la sua vita non ha nulla in comune con la costruzione degli oggetti scientifici”. Secondo Merleau Ponty “si esiste sempre o come cosa o come coscienza, ma l’esperienza dell’essere-corpo ci rivela un modo d’esistenza ambiguo”, nel quale due percezioni, l’essere-corpo, soggetto, o l’avere-un-corpo, oggetto, si intersecano.

Rompendo l’unità di uomo inserito nel cosmos, sotteso alla tradizione medievale, la speculazione cartesiana ci ha abituati a separare il soggetto dagli oggetti. La scienza moderna non è stata che “il seguito o l’amplificazione della percezione da parte di un soggetto sulle cose, una percezione che “mette capo a oggetti”, e il concetto scientifico non è che il mezzo per fissare e oggettivare i fenomeni, cristallizzando in questo modo la vita. Le scienze, e in particolare la medicina – il primo trattato di “anatomia” di Andrea Vesalio, De humani Corporis fabrica, è del 1543 – hanno, a partire dall’età moderna, stabilito lo Statuto del Corpo come un oggetto, trasferendolo poi al senso comune dell’uomo medicalizzato. Essere-Corpo è invece quella condizione naturale, vitale e situazionale, innegabile e imprescindibile dall’esistenza, ma di cui scienze e filosofia hanno per secoli taciuto. Questa percezione di soggetto – reintrodotta nel discorso dalla fenomenologia – ha tuttavia dei gradi di realizzazione e compiutezza, oltre che dei gradi di consapevolezza. Il 100 percento di tale compiutezza si realizza in-atto, nella dureè bergsoniana, durante l’azione, quando il corpo è in situazione. Così, ad esempio, siamo corpo quando guidiamo e – dato che abbiamo una grande esperienza di questa guida – non abbiamo la sensazione di fare nient’altro che quello che il corpo già sa. Tutte le azioni sportive, a un certo grado di esperienza, presentano questa caratteristica. Quando si nuota, si scia, quando si dribbla un avversario con la palla. Siamo corpo durante la meditazione, durante lo yoga. Durante la preghiera. Siamo, infine, corpo nell’espressione della nostra sessualità e nell’eccitazione. Siamo corpo – e in quel caso due corpi possono diventare uno – nell’abbraccio fisico e nella danza amorosa.

Invece abbiamo-un-corpo non appena siamo malati, non appena abbiamo un dolore a un dente, a una gamba, allo stomaco, alla testa. Quando il dolore ci obbliga alla fine a prendere una medicina. In particolare, abbiamo un corpo quando ci sottoponiamo a una cura, quando veniamo operati e nella convalescenza seguente. E, alla fine, abbiamo-un-corpo quando non riusciamo più ad alzarci perché – per fare un esempio – le nostre gambe sono diventate troppo deboli, da vecchi. Abbiamo-un-corpo, sempre, quando l’altro ci fa sentire una cosa, ci reifica. Per addentrarci in questo problema, che occorre chiamare “della reificazione” occorre tornare ancora a quella Scuola di Francoforte che aveva costruito un sistema concettuale libertario e individualista. Un pensiero sociologico appartenente alla sinistra, che oggi è purtroppo dimentica di certe radici. Per György Lukács la reificazione avviene quando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo porta a far considerare le persone delle merci, o cose. L’uomo considerato res, o cosa, è anche un concetto alla base del razzismo, della schiavitù e dei diritti dei vincitori sugli sconfitti, diritto che, nella storia occidentale, è perdurato almeno fino alla fine del XIX secolo. Il dominio dell’uomo sull’uomo – che si tratti degli ebrei in Egitto, della servitù della gleba, degli africani nelle piantagioni di cotone americane, delle deportazioni forzate e delle stragi di kulaki in Urss, o del massacro degli armeni da parte dei turchi – presuppone che un corpo-soggetto agisca su corpi-oggetto. Questa oggettivizzazione del corpo raggiunge il suo apice con il nazismo: l’obbligo di feroci trattamenti sanitari, i tatuaggi sul corpo, l’uso di veleno per topi nelle camere a gas, fino allo sfruttamento dei cadaveri, da cui venivano separati oro e capelli.

Il meccanismo di reificazione corrente si ferma molto prima di quel che fu un vero annientamento dell’umano. Il dominio della burocrazia, denunciato da Weber, ne è parte. Ma la letteratura medico-scientifica se ne è occupata a partire dagli anni 50, con la denuncia di pratiche inumane come l’elettroshock e, in Italia, negli anni 60, è sfociata nella medicina olistica, nell’omeopatia, oltre che nelle psicologie di Basaglia e Fagioli, con sviluppi anche molto controversi riguardanti la assurda chiusura degli ospedali psichiatrici, che necessitavano solo di essere radicalmente ripensati. Per la medicina, il corpo è ovviamente un oggetto d’attenzione e di analisi. Ma lo è per l’appunto come oggetto, difficilmente come soggetto di percezioni. Per lo più il corpo viene degradato dai medici a singoli organi e sintomi. Dire “ho un cancro al fegato da operare oggi” è una frase comune di ottimi e stimati professionisti. Invece per la cultura generale, in particolare quella permeata dalla religione, dalla filosofia e dalla psicologia solo una componente minoritaria identifica il corpo con la persona. Forse solo la letteratura riesce ad avere uno sguardo esauriente e completo sul corpo, uno sguardo cioè che tiene conto della componente soggettiva e sintetica del corpo, quella dell’essere-corpo. Scriveva, a proposito della reificazione operata dalla medicina moderna, il neurologo Oliver Sacks: “La storia individuale del malato e la sua intera vita non devono mai passare in secondo piano”. La medicina, in altre parole, non deve mai soffermarsi su “corpi-oggetto malati”. Il malato – per Sacks e per una parte, ancora troppo ristretta della medicina – è quella “persona unica, particolare, che soffre, si dispera, lotta, trova risorse e può anche vincere”. Karl Jaspers riteneva che da una patologia potesse anche nascere creatività, come il corpo estraneo che ferisce la conchiglia fa nascere la perla.

È così che, come un medico può ridurre una persona malata a un singolo sintomo, a un organo o a una patologia, l’uomo malato finisce con il reificare se stesso, riducendo così lo spazio dell’essere-corpo, aumentando quello dell’avere-un-corpo. Sacks disse infatti che “anche gli animali si ammalano, ma solo l’uomo cade radicalmente in preda alla malattia”, perdendo così la percezione di corpo-soggetto, orientato all’azione e al soddisfacimento del bisogno e del desiderio. E allo stesso modo, oggi, in piena pandemia, assistiamo a come la maggior parte delle persone sia caduta letteralmente in preda “alla paura della malattia”, paura che si associa al senso comune medico-scientifico del corpo-oggetto. Spiegare dunque l’abbraccio – metafora quanto mai opportuna oggi, che ci è impedito per legge – che ognuno di noi offre spontaneamente al campo dell’essere-corpo, con la sua ansia di liberazione e libertà, oppure al campo dell’avere-un-corpo, con le sue paure e la sua reificazione degli altri e di sé, significa anche spiegare il conflitto che sta dividendo in due le società occidentali.

(*) Leggi la prima parte

(**) Leggi la seconda parte

(***) Leggi la terza parte

Aggiornato il 06 agosto 2021 alle ore 19:27