L’Intelligenza artificiale sta cambiando la vita di tutti noi. Per questo i nuovi corsi universitari della Università europea di Roma, finanziati dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale del professor Emmanuele Francesco Maria Emanuele – uno che alla parola “filantropia” ha dato una dimensione culturale italiana, ormai da decenni – la tengono sempre in primo piano quando si parla di formazione e dintorni. Così un’inaugurazione di un anno accademico, evento che di solito si sostanzia nella retorica degli interventi dei singoli professori e rettori, diventa invece un vero e proprio happening culturale e sociale.

In cui tutti i relatori, a cominciare dal rettore stesso, il religioso padre Pedro Barrajón Muñoz, continuando con il notissimo professor Rino Fisichella (che ha detto una frase che sarebbe piaciuta a Ferdinand de Saussure, e cioè che l’uomo spesso “si identifica con il linguaggio che usa”, lui stesso così come chi gli fa compagnia nell’ambiente in cui vive e dimora), hanno dato all’uditorio dell’Università – dedicata al grande pontefice che ha caratterizzato gli anni Ottanta e Novanta a cavallo con il nuovo millennio, Giovanni Paolo II – il senso dei futuri corsi di giurisprudenza, comunicazione, economia e quant’altro prevede il nuovo anno accademico inaugurato oggi.

Se un tempo Marshall McLuhan poteva dire che “il mezzo è il messaggio”, oggi siamo alla fase successiva: siamo noi a utilizzare il mezzo, soprattutto tecnologico, o ne siamo invece dominati?

O addirittura messi ko, come nel caso delle implicazioni sulla perdita dei posti di lavoro prevedibili nei prossimi dieci anni dal progressivo prendere piede della robotica? Argomento che, per inciso, il professor Emanuele aveva già affrontato un venerdì di aprile del 2019 in una lectio magistralis tenuta presso lo stesso ateneo. Ebbene, a questo dilemma che si farà nel tempo – che secondo il rettore Muñoz si sta forse dilatando mentre è lo spazio che le nuove tecnologie tendono a far restringere – pressante, la risposta la dà in qualche maniera anche la fede. Soprattutto quella sostenuta dalla ragione laica citata da Emanuele e riassunta nell’eterna diatriba tra pessimismo e ottimismo.

Le altre università, lamenta il professore, “neanche si pongono il problema”. Uno scrive ai rettori, magari invitandoli a organizzare lezioni o convegni su questi temi, che poi, a dirla tutta, sono persino di “moda”, e quelli neppure rispondono. Indifferenza, insensibilità. Forse arroganza. I mali della classe dirigente del terzo millennio. Dalla politica in giù.

E quindi le parole di Muñoz sulla fiducia, che volendo sono analoghe a quelle di Emanuele e di monsignor Fisichella sulla fede come elemento contenuto nella ragione, anche se a essa trascendente nella esplicitazione come “mistero”, appaiono quasi profetiche per il nostro destino a venire.

Nella costruzione del futuro di un Paese – sostiene il professore e avvocato Emmanuele Emanuele – giocano un ruolo fondamentale le Università come luoghi dove si guarda al futuro con serenità e fiducia, e con il desiderio di dare ognuno il meglio di sé per poter formare una comunità umana dove possa regnare la giustizia e la pace ad ampio raggio: pace tra i popoli, pace con il creato, pace con sé stessi. Le Università, pur in un mondo così mutevole, continuano ad essere luogo privilegiato di metabolizzazione delle grandi sfide del futuro e dove, in un certo senso, si possono anticipare le soluzioni. Ma per realizzare questo compito – prosegue Emanuele – sono necessari un atteggiamento fondamentale di fiducia – che talvolta si deve recuperare superando le paure – e un alto senso di responsabilità condivisa, perché tutti siamo chiamati a dare una risposta libera, consapevole e fattiva di un impegno sereno e sincero, nelle proprie capacità e competenze, per costruire una società più umana, dove sia possibile, malgrado i diversi problemi strutturali e congiunturali, guardare al futuro con speranza”.

Insomma, la rivoluzione digitale va lasciata esprimere ma poi indirizzata, specie nel lato formativo per i giovani allievi universitari. Più precisamente, il professor Emanuele si rende conto che “la rivoluzione digitale, strettamente correlata alla globalizzazione, è un fenomeno inarrestabile ed imprescindibile che coinvolge ogni aspetto della nostra vita e della nostra società. Non bisogna averne timore, ma saperla gestire con intelligenza e competenza. Molti dei mestieri che conosciamo scompariranno, perché gli uomini saranno progressivamente sostituiti dalle macchine: parliamo degli operai, dei contadini, degli operatori di call-center, ma anche di chirurghi e di docenti (basti pensare all’esperienza dell’“Ecole 42” in Francia). Nasceranno tuttavia nuovi mestieri, quelli dei professionisti delle nuove tecnologie. Questo significa che l’insegnamento deve seguire il progresso, ed è pertanto necessario che il sistema scolastico ed universitario siano in grado di fornire le nuove competenze necessarie ai giovani, non in sostituzione bensì in aggiunta ai valori e ai saperi tradizionali”.

Per cui ecco il trinomio “cultura, formazione e spiritualità”. Sarebbero queste “le basi per una vita migliore nell’epoca della rivoluzione tecnologica. Se i giovani potranno contare su questi tre pilastri, che noi educatori abbiamo il dovere di garantire loro, potranno affrontare con ottimismo e successo le sfide della nuova era digitale, essendone protagonisti attivi e non succubi”.

Sintesi di questi ragionamenti la fornisce monsignor Rino Fisichella, che non pretende di parlare “ex cathedra”, ma che di fatto, anche con quella frase sull’uomo e il linguaggio, finisce per farlo al di là del proprio intento: “La cultura digitale si presenta con alcune caratteristiche che meritano di essere analizzate. A differenza del processo culturale come conosciuto sinora, la cultura digitale si afferma come un fenomeno globale e globalizzante. Si introduce l’hic et nunc dell’immediato; il linguaggio appare più sintetico, disintermediato, essenziale, spesso riassunto in un’immagine che esprime l’emozione del momento ed è compreso intuitivamente”.

E ancora: “La tecnologia digitale aiuta la memoria, permette l’archiviazione dei dati aiutando la vita sociale e personale. Assistiamo così ad un vera e propria trasformazione antropologica. Per la Chiesa si apre una nuova fase di evangelizzazione, ed è una sfida da non perdere. La vera domanda non è come utilizzare le nuove tecnologie per la formazione, ma come diventare presenza formativa nel continente digitale”.

E anche il professor Benedetto Farina, medico e psichiatra, Ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università Europea di Roma, ha convenuto nel proprio intervento conclusivo della cerimonia che “ad oggi Internet è diventata l’infrastruttura su cui poggia tutto ciò che fa circa il 60 per cento della popolazione mondiale e oltre il 90% di quella italiana. Ciò sta modificando il modo di vivere, di ragionare e di stare con gli altri. Agli indiscutibili vantaggi di questa rivoluzione digitale si accompagnano cambiamenti delle funzioni cognitive ancora più profondi di quelli determinati dall’uso della televisione, dipendenza da uso di internet e dei social media, stravolgimenti nella socialità e nello sviluppo affettivo tra le generazioni più giovani. Tuttavia – sostiene Farina – uno dei problemi più preoccupanti dell’era digitale è, come segnalano gli studiosi del fenomeno, lo sviluppo di un sistema di sapere fai-da-te in cui si è indebolita, talvolta fino quasi a sparire, qualsiasi forma di mediazione culturale, quella esercitata dagli insegnanti, professori, dagli editori, dai giornalisti, dagli studiosi”.

E forse qualsiasi tipo di cultura vera e propria, potremmo aggiungere noi profani. A consuntivo di una mattinata con quattro relazioni così interessanti, si potrebbe chiudere con una battuta ironica: se tutte le inaugurazioni degli anni accademici fossero così significative, varrebbe la pena di ripeterle ogni trimestre invece che ogni dodici mesi.

 

 

Aggiornato il 20 febbraio 2020 alle ore 18:41