Giornata mondiale del karate, intervista a Luca Valdesi

Il 25 ottobre 1936 si riunirono a Naha, città dell’isola nipponica di Okinawa, diversi maestri di arti marziali che proprio quel giorno diedero alla disciplina giapponese il nome con cui oggi è conosciuta: karate. La storia del karate affonda nei secoli precedenti: era più che altro una pratica dal carattere iniziatico, con una profonda componente spirituale, che nel segreto veniva vissuta e praticata dai nobili. Una volta nella vita, i funzionari di Okinawa trascorrevano un periodo di circa due anni in Cina – per motivi istituzionali e per affari – dove apprendevano le tecniche del combattimento, soprattutto del kung fu. Okinawa aveva un re che veniva nominato dall’imperatore cinese e culturalmente l’isola era più vicina alla Cina che non al Giappone. Le pratiche marziali e le conoscenze filosofiche – custodite dalla nobiltà – nel tempo si diffusero nella società e così la popolazione veniva a conoscenza di quest’arte, che univa le conoscenze marziali locali e quelle cinesi.

Da emblema del Giappone il karate è poi arrivato in Occidente, ha abbandonato l’esclusivo impianto tradizionale per aprirsi al mondo agonistico, diventando uno sport praticato da milioni di persone, con gare che coinvolgono karateki di tutti i livelli, dai bambini ai primi anni di pratica ai maestri adulti. Nel 1936 si decise di togliere alla diffusa arte marziale la connotazione grafica cinese, conformandola ai caratteri giapponesi. Quello che in cinese era ‘‘Toudì’’ (‘‘mano cinese’’) divenne ‘‘karate’’ (che in caratteri nipponici significa ‘‘mano vuota’’). Si manteneva quindi il significato originale ma si dava al nome della disciplina una maggiore coerenza con la cultura e la scrittura giapponese. Karate-do, la via della mano vuota. Il 25 ottobre è quindi la Giornata mondiale del karate.

Parliamo di questa disciplina, della sua evoluzione e della sua componente sportiva con Luca Valdesi. Nato a Palermo nel 1976, si allena da quando era bambino. Fa parte del gruppo sportivo delle Fiamme Gialle e dal 2021 è direttore tecnico nazionale FIJLKAM per il karate. Valdesi è uno dei karateki italiani più titolati di sempre, con diversi ori mondiali individuali nel kata (Monterrey 2004, Tampere 2006 e Tokyo 2008) e tredici ori consecutivi ai campionati europei.

Maestro Valdesi, lei pratica il karate da oltre quarant’anni. Come ogni sport, anche le arti marziali e il karate sono soggette a trasformazioni e mutamenti. Com’è cambiata la disciplina e il suo insegnamento in questi ultimi decenni? E quali sono i valori su cui si fonda il karate-do?

Il karate e in generale le arti marziali sono mondi piuttosto conservatori, che spesso fanno fatica a discostarsi dall’insegnamento originale. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una evoluzione verso l’ambiente sportivo da parte del karate, passando così da un’arte marziale praticata nel dojo – la ‘‘palestra’’ tradizionale – ad una sua traslazione al mondo delle gare e dell’agonismo. È però importante integrare i due aspetti: così come non bisogna abbandonare totalmente la disciplina marziale tradizionale, si dovrebbe anche uscire dall’impianto ermetico-filosofico che questa porta con sé e aprirsi al confronto con il mondo esterno, attraverso le gare. Lo sviluppo del karate sportivo ha portato ad una trasformazione delle tecniche e delle metodologie dell’allenamento: la pratica agonistica stimola aspetti metabolici, cognitivi o condizionali in modo diverso rispetto ad un allenamento tradizionale, fondato sul percorrere il budo, l’autentica via marziale giapponese. Sotto l’aspetto condizionale la pratica sportiva ha permesso di raggiungere parametri veramente altissimi.
Il karate – così come le altre arti marziali – rappresenta un percorso di crescita che si basa su valori imprescindibili come il rispetto dell’avversario, la cultura del lavoro e del sacrificio, gli sforzi per raggiungere un obiettivo che porta poi a vivere i risultati con grande gioia.

Le arti marziali riescono a fondere – almeno a livello teorico – una componente fisica e una componente spirituale, e quindi mentale. Quali sono i benefici del karate, e a chi consiglia di avvicinarsi a questa disciplina?

I benefici della disciplina sono numerosi ed evidenti: autocontrollo, gestione delle emozioni, dominio del proprio corpo nello spazio. Il karate è consigliabile a tutti, dai bambini – che vengono introdotti all’insegnamento dei valori della famiglia e della società, in un ambiente sano – alle persone più grandi che vogliono arricchirsi – senza per forza passare dal mondo agonistico – di conoscenze e insegnamenti propri delle arti marziali.

Da persona che studia i social network mi imbatto spesso in contenuti relativi al karate (maestri che tengono lezioni su TikTok, ragazzi che si allenano, atleti in gara). Da praticante, invece, mi rattrista la diffusa ‘‘gerarchizzazione’’ tra le arti marziali o in generale tra tutte le discipline da combattimento, dove si attribuisce al karate una scarsa utilità in ‘‘strada’’. Il Maestro Funakoshi, fondatore dello stile Shotokan, ha detto che ‘‘il karate è fatto per non doversene servire’’. Cosa vuole dire su questo aspetto?

Quando io mi allenavo per fare le gare, ormai qualche decennio fa, le mie metodiche e la mia routine di allenamento erano quanto più possibile segrete, perché non avrei voluto dare alcun vantaggio ai miei avversarsi. Credo che questa condivisione ad ogni costo degli allenamenti, dei risultati della gara, o del segreto di ognuno di noi, faccia parte di una deriva sociale. Ci troviamo in un momento dove è importante condividere qualsiasi cosa succeda nella nostra vita, e le arti marziali ormai fanno parte di questo sistema. I ragazzi e gli atleti si sentono quasi legittimati a mostrare la loro pratica, così come ci sono maestri che ostentano l’efficacia del loro metodo oppure creano contenuti sulla difesa personale. Personalmente, ho sempre diffidato da queste lezioni che promettono traguardi veloci. Karate significa cultura del lavoro, per cui si deve essere consapevoli che i risultati arrivano attraverso periodi di lavoro intenso.
Il karate è la base delle arti marziali e da combattimento a media e lunga distanza. Il judo è a distanza ravvicinata, il karate è a distanza di pugno o di calcio, e questa è proprio una nostra prerogativa. Tutte le altre discipline derivano dal judo e dal karate. Dire che il karate non sia efficace nell’immediato è sbagliato. C’è da dire che nel karate la conoscenza della tecnica è molto importante e, se non si conosce bene la tecnica, la stessa può risultare meno efficace rispetto ad altre discipline. Non possiamo vedere il karate come una forma di combattimento da strada da imparare in poche settimane. Funakoshi ha perfettamente ragione nel dire che non bisogna servirsi del karate. Questa disciplina deve portare ad una sicurezza tale da essere percepita come in grado di scoraggiare un eventuale combattimento: la postura del corpo, la sicurezza dei propri mezzi, l’atteggiamento, a volte riescono ad evitare problemi più seri.

Lei è stato più volte campione mondiale nella categoria del kata (movimenti formali e codificati che simulano un combattimento contro avversari immaginari) e ha vinto moltissimi titoli europei. Quali consigli vuole dare ai giovani atleti che gareggiano per la prima volta?

Si, nell’ambito del kata ho vinto parecchio. Un consiglio che posso dare ai ragazzi è quello di allenarsi tanto. Non esistono scorciatoie, non esistono trucchi magici, è l’impegno che alla fine paga sempre. Bisogna lavorare con intelligenza, perché si deve analizzare ogni gesto e movimento, e con coscienza, rendendosi conto di ciò che si sta facendo. Il kata, anche se si svolge senza avversari reali, non è un esercizio ginnico. È un vero combattimento, dobbiamo riuscire a percepire il pericolo, e ogni tecnica deve essere risolutiva per poter portare la pelle a casa. È anche importante lavorare con allegria. Nel karate è insita la cultura del lavoro, che può essere pesante e faticoso, addirittura ripetitivo, come nel kata. Bisogna essere positivi, approcciare con una mentalità allegra e gioire di ogni piccolo miglioramento che viene fatto durante gli allenamenti. Questa gioia che proviamo per ogni passo in avanti è quella molla che ci permette di proseguire nel lavoro e di accettare quei sacrifici che facciamo tutti i giorni.

Aggiornato il 24 ottobre 2025 alle ore 11:23