
Tenacia e appartenenza. L’Italia riparte da Gennaro Gattuso, il simbolo e volto di una generazione che ha scritto l’ultima pagina gloriosa della Nazionale di calcio azzurra. Come già anticipato giovedì scorso, Ringhio è stato nominato nel weekend nuovo commissario tecnico dell’Italia. Dopo due esclusioni consecutive dalla fase finale della Coppa del Mondo e un avvio stentato nelle qualificazioni per il Mondiale 2026, la Figc ha deciso di affidare la guida tecnica a un uomo che nessuno sulla piazza si azzarderebbe a criticare. “È un simbolo del calcio italiano, l’azzurro per lui è come una seconda pelle. Le sue motivazioni, la sua professionalità e la sua esperienza saranno fondamentali per affrontare al meglio i prossimi impegni della Nazionale”, ha dichiarato il presidente federale Gabriele Gravina. Con 73 presenze in maglia azzurra, Gattuso fu uno dei protagonisti della cavalcata mondiale del 2006, asse portante di una squadra solida e ricca di leader. Da Gianluigi Buffon tra i pali alla rocciosa linea difensiva con Fabio Cannavaro, Alessandro Nesta e Marco Materazzi; dalle traiettorie eleganti di Andrea Pirlo alle invenzioni di Francesco Totti e Alessandro Del Piero; dai gol pesanti di Luca Toni alla grinta instancabile di Gattuso. Una Nazionale che non cercava il bel gioco – anche se di piedi educatissimi ce n’erano in abbondanza – ma che ha incarnato perfettamente l’efficacia, la resilienza, la forza del collettivo. Ora, lo stesso spirito è chiamato a rivivere con Gattuso alla guida.
L’ex centrocampista calabrese, nato a Corigliano Calabro il 9 gennaio 1978, ha concluso l’ultima stagione all’Hajduk Spalato, centrando il terzo posto nel massimo campionato croato. La sua carriera da calciatore è iniziata in Serie B con il Perugia, seguita da una parentesi ai Rangers di Glasgow, prima del ritorno in patria con Salernitana e poi la lunga militanza al Milan: 13 stagioni costellate da successi – due Champions League, due Supercoppe Uefa uno Scudetto, una Coppa Italia, due Supercoppe e un Mondiale per club – frutto di un centrocampo fatto di tecnica e fatica, impreziosito dalla sua determinazione. La sua parabola da allenatore è stata intensa, ma anche discontinua: dagli inizi in Svizzera con il Sion, a Palermo e a Creta, fino alla promozione in Serie B con il Pisa. Poi l’approdo al Milan, club che conosce come pochi, e la vittoria della Coppa Italia con il Napoli, unico trofeo da tecnico. Esperienze brevi a Valencia e Marsiglia, prima della recente avventura in Croazia. A Coverciano, ritroverà Gigi Buffon, oggi capo delegazione della Nazionale.
Gattuso eredita una situazione complessa, lasciata da Luciano Spalletti, tecnico stimato per le sue qualità tattiche e per i successi ottenuti a Napoli e Roma, ma che non è riuscito a imprimere una svolta ad una Nazionale ancora orfana di fuoriclasse. Il calcio italiano, oggi, fatica a esprimere talenti – anzi, a valorizzarli – capaci di spostare gli equilibri, di creare superiorità, di incidere nei momenti decisivi. L’unico fuoriclasse, al momento, resta tra i pali: Gianluigi Donnarumma, campione d’Europa e fresco vincitore della Champions League con il Paris Saint-Germain. La Figc, dinanzi al rischio concreto di mancare un altro appuntamento mondiale, ha preferito affidarsi all’identità, alla compattezza e al carattere, anche perché visti i vari “no” incassati da Gravina, forse era l’unica soluzione sulla piazza.
“Mister, ora ho capito perché è una gioia immensa”, disse Ringhio a Marco Tardelli – simbolo dell’Italia campione nel 1982 – dopo il trionfo a Berlino. “Non è stata forse una squadra a tratti bella da vedere – aggiunse – ma ha dimostrato di essere tosta tosta”. Quella frase oggi sembra un manifesto programmatico. Ed è con quello spirito, con la stessa rude sincerità, che Gattuso cercherà di riportare l’Italia dove merita: tra le grandi del calcio mondiale.
Aggiornato il 16 giugno 2025 alle ore 17:54