
Per la serie, sempre meglio tardi che mai. La World Boxing ha stabilito che tutte le atlete e gli atleti che vorranno partecipare alle competizioni autorizzate devono sottoporsi a un test Pcr (reazione a catena della polimerasi) per determinare il loro sesso biologico alla nascita. Il test, condotto tramite tampone nasale od orale, rileva materiale genetico specifico, ovvero il gene Sry, che rivela la presenza del cromosoma Y, caratteristico del sesso maschile.
La stessa World Boxing si è dovuta scusare con Imane Khelif per averla citata esplicitamente in occasione dell’annuncio sui test genetici. Atto, quello delle scuse, sicuramente dovuto. Ma è innegabile che questa decisione riporta la memoria all’anno scorso e a tutte le polemiche scatenatesi intorno alla partecipazione (e vittoria nella categoria welter femminile) di Khelif alle Olimpiadi di Parigi. Partecipazione sostenuta strenuamente dall’allora Cio, ma che era stata bocciata già nel 2023 dall’International Boxing Association, associazione non riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale anche perché considerata troppo russa, proprio perché un test aveva attestato la presenza del cromosoma Y.
D’altra parte, questa decisione rispecchia quanto detto da Kirsty Coventry, durante il suo primo discorso da neopresidente del Cio: “È molto chiaro che le donne transgender sono avvantaggiate nella categoria femminile e possono togliere opportunità che dovrebbero essere equamente distribuite tra le donne”.
Perché la biologia non è acqua, come ricordato anche dalla società europea di endocrinologia: “Le atlete di alto livello hanno maggiori probabilità di avere livelli di testosterone più elevati. Questi risultati suggeriscono che livelli di testosterone più elevati possono migliorare le prestazioni fisiche nelle donne, a livelli più paragonabili alla fisiologia maschile”.
Ma qui il punto non sono i livelli di testosterone e la questione dell’intersessualità. Qui il punto è il famigerato cromosoma Y.
Imane Khelif continua a rifiutarsi di eseguire il suddetto test perché lo considera discriminatorio. Ma la discriminazione la sta attuando lei stessa con il proprio rifiuto. Anche in considerazione degli innumerevoli test a cui tutte le atlete e gli atleti si devono sottoporre per poter gareggiare.
Il risultato, al momento, è che Khelif non potrà partecipare questo weekend all’Eindhoven Box Cup nei Paesi Bassi. La motivazione ufficiale è che non si sia iscritta in tempo per l’evento. Eppure, il sindaco di Eindhoven Jeroen Dijsselbloem, criticando la decisione di World Boxing in una lettera indirizzata alla Federazione Pugilistica Olandese e alla Federazione Pugilistica Internazionale, ha affermato: “Oggi esprimiamo la nostra disapprovazione per questa decisione e chiediamo all’organizzazione di ammettere Imane Khelif, nonostante tutto”.
Ecco, quel “nonostante tutto” lascia parecchie perplessità. Perché o le competizioni femminili sono riservate alle donne o, in nome della non discriminazione delle atlete transessuali, si distrugge lo sport femminile. La questione è tanto delicata, per la sensibilità della tematica, quanto chiara: la tutela dei diritti o vale per tutte e tutti o non vale per nessuno. E sicuramente, la tutela dei diritti delle persone transessuali non può passare per la discriminazione ed abolizione dei diritti delle donne.
Aggiornato il 06 giugno 2025 alle ore 13:41