Parigi val bene una rissa

Un tempo volavano pagnotte (rosette, per l’esattezza). Quando cioè il Foro Italico era già terra di nessuno, il tennis italiano viveva una fase di transizione dopo l’epopea Davis e poco prima che quello mondiale si avvitasse in una mutazione-clonazione che privilegerà la resistenza fisica alla creatività. Ed è in questo cyber tennis che si esalta il nuovo cafone, dall’aplomb tutto francese, che di questi tempi significa scarsa sportività e tanto, troppo rumore. La stampa belga è stata molto critica, in questi giorni, con quella parte del pubblico del Roland Garros “che manca di rispetto agli avversari dei giocatori francesi”. Tra gli ultimi episodi di insofferenza al canone tradizionale dello spettatore appassionato di tennis, c’è quanto accaduto nell’incontro tra Arthur Fils e lo spagnolo Jaume Munar. Il commento lo lasciamo direttamente al giocatore di casa che a fine partita si è rivolto al pubblico con queste parole: “Ragazzi, non ho mai visto una roba del genere”. Ma ormai, da qualche anno, ogni giorno che passa al Roland Garros è buono per battere il record di maleducazione del giorno precedente.

Les supporters, infatti, hanno letteralmente portato Fils verso la vittoria alla fine di una partita che si era messa malissimo per il francese, in vantaggio 2 set a zero e poi rimontato, con un parziale secco di 6-2, 6-0, prima della bolgia dantesca, nella quinta partita. Roba da Parc des Princes più che da Court Suzanne Lenglen, che tra parentesi fu soprannominata La Divina. Negli ultimi tempi, tuttavia, di paradisiaco a Bois de Boulogne sembra esserci solo il silenzio dei cancelli che si chiudono a notte fonda. Per il resto, sentiamo che cosa ha da dirci lo sconfitto. “Che incitino l’altro giocatore, che urlino, mi sta bene, ci sono abituato – afferma Munar in conferenza stampa – ma quello che considero una mancanza di rispetto, e qui succede sempre più spesso, è il cantare o urlare senza sosta e interrompere continuamente. In definitiva impediscono ai giocatori di proseguire”. Insomma, aggiunge, il tennis “non dovrebbe assomigliare a un circo, ma qui a Parigi, a volte, sembra un teatro”. Il Roland Garros come l’Ambra Jovinelli? Manca solo lo spogliarello per distrarre l’avversario o l’invasione dello streaker. Ci arriveremo. Tornando alla pacchianata del Suzanne Lenglen, Arthur Fils non ha avuto problemi ad ammettere, alla tivù belga, di aver vinto “grazie al pubblico”, ma di non essere d’accordo con Munar sull’atmosfera creata dai suoi compatriotes: “Quando giochi in Sud America (a Becker in Brasile, a Maceiò, hanno tirato i serpenti ndr.), in Australia o negli Stati Uniti, è lo stesso. Non è stato facile per lui, lo ammetto, ma bisogna farci i conti”. E come dargli torto.

Si, ormai è proprio così. Il clima da Davis vale anche per Master 1000 e Slam. Indietro non si torna. Il cafone, ormai, è strutturale al tennis moderno. Al di là della sfida portata a casa da Fils con l’aiuto del pubblico, anche tra gli stessi spettatori francesi si registrano malumori. Perché se è importante sostenere i giocatori francesi, lo è ancora di più sostenere i grandi valori dello sport. “Sì, a volte il pubblico francese esagera. Capisco che cerchiamo di galvanizzare i giocatori, ma dobbiamo anche rispettare i nostri avversari. Applaudire un doppio fallo non credo sia in linea con i valori dello sport”, dicono alcuni spettatori all’inviato della Rtbf. E se i belgi sono così sensibili alla buona creanza è perché non hanno ancora digerito quanto accadde lo scorso anno a David Goffin sconfitto da Giovanni Mpetshi Perricard e non solo per le grandi botte di servizio tirate dal marcantonio di Lione. “Mi sono sentito insultato, mi hanno persino sputato addosso del chewing-gum al cambio campo. Non avevo mai sperimentato niente del genere”, dichiarò Goffin a fine partita.

Sui social, impazzano i video del tifo francese e la gente si divide: “Siamo il pubblico migliore”, “No, ci vuole rispetto, perché è una delle caratteristiche principali dello sport”. Il giornalista Benoit Maylin, racconta Sud Info, non l’ha presa bene: “Il tennis non è il calcio. Voi, fulminati là fuori, applaudite, cantate, combinate tutti i guai che volete, ma rispettate gli avversari dei francesi, altrimenti andate via dal campo. Fischiate (Jakub) Mensik e (Hugo) Dellien, come osate farlo?”, ha scritto. Continueranno a osare, anche perché c’è a chi piace così. “Francamente, mi dà motivazione”, ammette l’americano Ben Shelton che ha detto di aver adorato le 3 ore di gioco contro il beniamino locale Hugo Gaston. “Sentire le grida del pubblico a ogni mio errore forzato mi dà un’energia incredibile. Anche se il mio avversario al Roland Garros aveva il vantaggio di essere francese, mi sentivo comunque bene. E giocare in Georgia, alla fine, è abbastanza paragonabile. Non solo per il frastuono del pubblico, ma anche per gli insulti che si sentono. Georgia, Kentucky e Tennessee sono stati probabilmente i tre stati peggiori per me”.

Musica per le orecchie di certa stampa francese, come il sito 20minutes che ha preso a pretesto le parole dell’americano per dire che in fondo c’è di peggio. E attaccare il povero Goffin, accusato di “disonestà quando afferma che l’atmosfera è molto più calma a Melbourne: forse non ha mai sfidato un giocatore australiano lì di notte”. Si devono allora “assolvere i tifosi del Roland Garros da qualsiasi critica a questa trasformazione culturale in atto sugli spalti? Probabilmente no”, ammettono i colleghi. Ma la “trasformazione culturale”, come la chiamano, è palese. E sembra ormai inarrestabile.

Aggiornato il 04 giugno 2025 alle ore 09:47