L’altoatesino come nessuno mai

È andata in onda, martedì 29 aprile, un’intervista “clamorosa”. Il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, al termine dell’edizione delle 20, ha guidato un’esclusiva a ridosso del ritorno sul campo degli Internazionali di tennis di Roma, a Jannik Sinner. Cosa dire di lui? Come definirlo? Il numero uno, il re del tennis, il ragazzo con la zazzera pel di carota, o – come ho scritto anche su L’Opinione – “l’italiano di cui andare fieri e essere orgogliosi”?
Che sia stato uno scoop lo dimostra il fatto che per lasciare spazio al dominatore della classifica Atp, il programma di Bruno Vespa “Cinque minuti” non è andato in onda. Pensate! E il seguitissimo “Affari Tuoi” di Stefano De Martino è scivolato alle 20,50. Indubitabilmente l’intervista a Jannik meritava tanto, perché non è un super campione che si concede facile. Non credo per timidezza, per imbarazzo o per selezione. Per rigore, quella disciplina interiore che, a parere sportivo, ne ha fatto il fuoriclasse che è e che, anche quando “sbuffa” mentre parla, lascia intendere la difficoltà che a volte si prova nel dover spiegare.

Ma “lui non perde mai”, il nostro caro Sinner. Perché ha “quel gesto” sportivo, quel braccio dal polso al gomito appena arcuato e rivolto verso se stesso. Quel tratto distintivo, che nella sua scalata “a primo tra i più forti”, anche qualche professore ha provato a indicare ai giovani come risorsa interiore di fronte alle difficoltà della vita, che non sono diverse da quelle di un campo di terra o in cemento.

Vincere, vincere, vincere. Jannik Sinner, il trionfatore della Coppa Davis, l’indiscusso, sembrava non fermarsi più. E mi ha colpito che in uno dei salotti radiofonici, oltre alle caricature irresistibili di Maurizio Crozza, uno dei due conduttori indirizzasse “una sorta di lettera aperta” in cui suggeriva all’altoatesino di lasciar perdere tutte queste gare su gare e dedicarsi anche “ai piaceri della vita”. Una parodia? Certo, nelle intenzioni, ma è la prova dell’Italia che non riconosce i valori intrinsechi dello sport. Sarà stata la maga nera o la sfortuna, ma Jannik Sinner è stato fermato davvero. Dal caso Costebol, sul quale nell’intervista del Tg1 il direttore Gian Marco Chiocci ha fatto circostanziate domande. Insomma, chi arriverà sui campi degli Internazionali: la “pecora nera”, il campione o l’uomo che ha vinto anche le ombre?

Cos’è “il caso Costebol”? Il Post del 15 febbraio 2025 riporta: “L’Agenzia mondiale antidoping (Wada) ha detto che il tennista italiano Jannik Sinner ha concordato una squalifica di tre mesi per essere risultato positivo a una sostanza vietata. Sinner, che ha 23 anni ed è al primo posto della classifica maschile dei migliori tennisti al mondo, nel marzo del 2024 era risultato positivo in due controlli antidoping al costebol, uno steroide anabolizzante che aumenta le prestazioni sportive e che è proibito dalla Wada. La Wada ha riconosciuto che il tennista è risultato positivo al clostebol in modo involontario, a causa di una contaminazione attraverso un suo fisioterapista”.

Consiglio di guardare o riguardare l’intervista esclusiva del Tg1, in cui “il numero uno del tennis” risponde alle domande scomode, sempre col volto serio e con risposte scrupolose, perché sa che sta parlando non solo a un consesso sportivo, ma ai tanti tifosi e ai tanti telespettatori.

“Perché vive a Montecarlo”, ha chiesto il direttore? Sarà che per noi il Principato monegasco è sempre una scappatoia furbesca alla legalità, per il fisco, o per altro, e per Jannik cosa rappresenta Montecarlo? Uno sguardo a destra, uno sbuffo, avrà pensato, come si fa a dire la banalità? Ha spiegato: “Lì mi trovo bene, ho i campi in terra rossa e cemento”. E poi? “E poi – ha detto col fiato trattenuto – il clima”. È un tennista e gioca allo scoperto. Dunque, fin qui: 1 a 0 per Jannik.

E su Costebol? “Hai mai pensato di smettere di giocare”, ha chiesto Gian Marco Chiocci? Io, che lo sport l’ho fatto davvero, non certo ai livelli di un Sinner ma ho provato il dolore della sconfitta, i dubbi della fatica, le piccole o grandi ingiustizie, urlavo da casa “mai”. Lui, intanto, vedevo che cercava le parole, voltandosi ora qua e ora là. E ha risposto con concetti che dovrebbero far pensare a questa Italia sì patriota e al centro del mondo, ma anche dell’impudicizie e falsità. “Ho pensato di smettere”, ha ammesso laconicamente l’atleta, quando si è reso conto che andando agli incontri con gli altri tennisti competitori invece di trovare la serenità, il rispetto e l’allegria di sempre, si è accorto di essere mal giudicato. Sono certa di quello che ho urlato, “quel mai”. E dentro sono certa che ci fosse quel “pugnetto rivolto verso se stesso”, che avrà lavorato per lui insieme al team tecnico, agli allenatori, alla famiglia e al suo privato sempre riservato, unico e proprio.
Strano, a noi oggigiorno i campioni piacciono non quando cadono e sanno rialzarsi, ma vinti.

Caro re del tennis, come hai detto bene tu, Jannik, scendere a Roma non sarà come entrare in un campo da tennis, ma “come in uno stadio”. Cioè, un’arena, come al Colosseo, a dimostrare di vincere ciò che a Roma trionfa: il sospetto, l’invidia e la calunnia. Puoi sempre ritirarti e mandare sotto un altro, che poi scenderà le scale del prossimo Festival di Sanremo, lui con la racchetta d’oro e dall’altra Damiano David per il ritorno dei Manneskin.
Ciao altoatesino, numero uno come nessuno mai.

Aggiornato il 30 aprile 2025 alle ore 15:33