Contro la superficialità e l’ipocrisia, Aldo Agroppi è stato uno degli ultimi capisaldi di un calcio diverso dal nostro. Si è spento oggi nella sua Piombino, all’età di 80 anni il centrocampista prima (ex Torino e Perugia), allenatore poi (tra le altre Pisa, Perugia, Pescara, e Fiorentina) e infine commentatore tivù toscano. “Nella mia vita ho sempre fatto la guerra ai servi e ai leccaculo. E non ho rimpianti”, così si raccontava il mediano bandiera dei granata, circa un anno fa a La Repubblica. E questa frase racchiude perfettamente la personalità cinica, sarcastica ma oltremodo preparata e ficcante di Agroppi, che nel corso della sua carriera da commentatore si è circondato di fan ma anche di nemici. Soprattutto in ambienti legati alla Juventus, squadra spesso bersaglio di invettive da parte dell’ex tecnico toscano.
Nato a Piombino il 14 aprile 1944, Aldo è stato uno di quei personaggi che non passano inosservati. Cresciuto calcisticamente nel vivaio della squadra della sua città, il giovane centrocampista si è fatto notare per la grinta e il talento, qualità che gli sono valse il passaggio al Torino. Prima di indossare stabilmente la maglia granata, però, ha dovuto fare esperienza: Genoa e Ternana sono stati i trampolini di lancio di una carriera che lo avrebbe visto legarsi principalmente al club della Mole. Il debutto con il Toro è di quelli che non si dimenticano: 15 ottobre 1967, una vittoria per 4-2 contro la Sampdoria. Ma quel giorno viene segnato, poco dopo la partita, dalla scomparsa prematura di Gigi Meroni, giovane fuoriclasse dei granata. Un evento che ha lasciato un segno profondo nella squadra e in Agroppi, che di lì a poco diventerà uno dei pilastri del centrocampo, ma comincerà anche a soffrire di depressione. Con il Toro ha conquistato due Coppe Italia, ha vestito la maglia della Nazionale per cinque partite e si è distinto per il suo dinamismo e i piedi buoni. Nel 1975 si legherà al Perugia, dove chiude la carriera da giocatore due anni dopo, a soli 33 anni, da capitano. Forse troppo presto persino per l’epoca.
Agroppi, però, non si ferma. Passa alla panchina e sorprende: porta il Pisa di Romeo Anconetani in Serie A e sfiora altre imprese, ma la sua avventura da allenatore è segnata da alti e bassi. Alla Fiorentina, nel 1986, ottiene un buon quarto posto, ma le tensioni con gli ultras viola e l’accusa di “non rispettare Giancarlo Antognoni” lo trascinano in un episodio drammatico: viene aggredito fuori dallo stadio Artemio Franchi, salvato solo dall’intervento di Daniel Passarella. Dopo il calcio giocato, Agroppi si reinventa come opinionista. Le sue analisi, sempre taglienti e fuori dagli schemi, lo rendono una voce unica, amata e criticata. Tant’è che nel 2005 ha raccontato la sua visione del calcio nel libro A gamba tesa.
Negli ultimi anni, lontano dai riflettori e segnato dagli acciacchi, ha ammesso con disarmante sincerità la sua disaffezione dal calcio e la lunga battaglia con la depressione: “Guardo la tivù, faccio le parole crociate, provo a reagire, ma il mio è un male che non si può guarire”. Una frase che rivela tutta l’umanità di un uomo che, nel bene e nel male, ha sempre vissuto senza mai scendere a compromessi.
Aggiornato il 02 gennaio 2025 alle ore 17:44