Questi erano alcuni dei divieti chiaramente esposti negli autobus italiani, fino agli anni Ottanta, circa. Erano un retaggio antico che si è rinnovato tranquillamente fino alla messa in servizio degli autobus verdi come li chiamavamo a Roma, quelli col bigliettaio. Da allora sono passati cinquant’anni, ma siamo ancora fermi a quelle strisce di metallo avvitate sulle pareti dei bus caldissimi dell’epoca. Lo abbiamo capito quando è esplosa la polemica sulla pugile Imane Khelif, che il sorteggio ha posto di fronte all’atleta italiana Angela Carini.
Siamo molto disinformati in tante cose. Anche se le informazioni sono disponibili, da qualche parte. È estate e puntiamo di più su argomenti più leggeri. Sappiamo anche poco dell’andamento della guerra d’Europa, in Ucraina. Figurati se potevamo essere a conoscenza dell’atleta Imane che da sempre gareggia con le donne perché, guarda caso, è una donna. La cosa crudele è che la donna Imane deve dimostrare di essere donna. Per il grande pubblico, bisogna tirare fuori le sue fotografie da bimba, con i fermagli nei capelli. Bisogna anche pretendere che mostri le sue analisi per vedere quanto testosterone produca il suo corpo.
Proprio in questi giorni ho visto dei ragazzini dai 7 ai 14 anni giocare con la palla sulla spiaggia. Nel gruppo, c’era una ragazzina carinissima con il seno appena abbozzato. Con l’occhio costretto a guardare davanti a sé per non mostrare il palese interesse verso di lei, un ragazzino coetaneo, forse anche più grande, con due accenni di mammelle, abbondanti e leggermente penzolanti. Immaginate la scena se nella spiaggia cominciasse il dibattito su chi dei due dovesse indossare il reggiseno. Inimmaginabile. Invece, per il ring olimpico questa discussione surreale è stata scatenata.
Al solito, la questione è stata malposta all’inizio del dibattito. La ragazza algerina ha perso spesso e tanto, nel suo sport. È nata con un po’ di ormoni maschili in più e immagino non si diverta a combattere con peli, sudore e l’istinto di correre dietro a qualsiasi palla. Detto questo, con le altre donne ha preso pugni e li ha dati, come tutte le altre atlete in competizione. Avevo pensato anche io che fosse un caso di ingiustizia transgender, per come era stata raccontata. Un paio di informazioni in più e scopri, invece, che al solito se chi racconta per primo è un cretino, viene fuori un quadro inesistente.
E per dirla in modo elegante, l’atleta italiana ha fatto quel che riteneva, col ritiro. Ma con gli italiani coinvolti nel dibattito, in grandissimo numero, abbiamo fatto la figura dei puzzoni e lamentosi. Inoltre, abbiamo dato sostegno a una tesi sessuofobica e francamente inaccettabile per una donna che già ha le sue paranoie da combattere. Ci mancavamo noi a romperle le scatole con i nostri gne-gne-gné da asilo Mariuccia. Anche violenti. Fosse stata la sorella di ciascuno di noi, saremmo diventati delle belve. E se fossimo stati noi al posto suo, nella stragrande maggioranza, per non sentire le brutte parole della gente, ci saremmo trasferiti a vivere in uno scantinato a sopravvivere in una vergogna che non avremmo dovuto provare. Ma c’è la gente, ci siamo noi a creare una vergogna che non esiste.
Ora, chi crede si confessi. Chi non crede, cambi idea. In tanti, vergogniamoci. Per quanto possiamo esserne capaci. Resta il problema della stampa e delle informazioni. Possibile che dipendiamo così tanto dall’idiozia del primo che dà una notizia?
Aggiornato il 02 agosto 2024 alle ore 11:44