Involuzione nazionale

Di base c’è che siamo scarsi. Se non proprio in termini assoluti, di certo in una dimensione comparativa con le altre nazionali. Non solo quelle blasonate, ma tutte le altre: dalla Svizzera, come abbiamo purtroppo constatato, alla Georgia. Scarsi come singoli, come tecnica individuale, come capacità inventiva. Che poi è il sale del calcio. E poi la forma fisica, non pervenuta. Perché al netto dei moduli, degli schieramenti tattici, dei ruoli, delle strategie e degli allenatori in panchina (i quali, a certi livelli, non devono di certo insegnarti a “toccare” il pallone bensì a motivare e a gestire un gruppo nelle sua pluralità) rimane il fatto che nel calcio vince non quello che corre più forte ma colui che, correndo più o meno forte, è più bravo ad entrare in contatto con lo strumento tecnico che, in questo sport, è risaputo essere di natura sferica. Certo, rimane da chiedere perché questa involuzione tecnica. Che da un punto di vista culturale, genetico, psicologico e sociale noi italiani non siamo più in grado di esprimere qualità può anche darsi, ma dubito. Forse è nella capacità di selezionare il migliore e, ancor più, nella propensione a far emergere il talento che si annidano le falle nel sistema.

Reputo sia preferibile lasciar libero un bambino che inizia a giocare a calcio di sbagliare un colpo di tacco piuttosto che infarcirlo di concetti legati alla ripartenza, al contropiede o al fallo tattico. E poi il tempo: necessario per rendere puro un diamante grezzo. Tempi che invece procuratori troppo famelici di guadagni tendono a ridurre drasticamente puntando più sul risultato che sul divertimento del ragazzo. Esatto: per chi se lo fosse dimenticato il calcio è sport, è divertimento, è gioia, è voglia di vivere. A tutti i livelli. Dalla piazza del paese (piuttosto: non vedo più bambini imprecare in un oratorio o per un pallone finito al centro di una fontana) alla finale di Coppa internazionale. Parlare di nuovi cicli con ragazzi giovani è una cavolata assoluta dato che chi scende in campo è poco più che ventenne. Gli adolescenti vittoriosi con la Nazionali minori avranno modo e tempo per ritagliarsi uno spazio di rilievo.

Piuttosto, vedo ancora troppe rughe solcare i visi dei dirigenti delle varie federazioni calcistiche e, nonostante la loro conclamata esperienza non solo non riescono nemmeno a ridurre il numero di squadre di un campionato – dando così più tempo, ecco che torna nuovamente il concetto temporale sopra espresso, per allenare e quindi migliorare le prestazioni agonistiche – ma riescono ad innovare solamente la formula di trofei praticamente irrilevanti (vedi la Supercoppa di Lega) tentando di dare ridondanza a eventi senza alcun tipo di pathos. Dal 2006, di quattro mondiali due ne abbiamo saltati e negli altri due abbiamo svolto il ruolo di meteore. Quello che è accaduto ad Euro 2020, per dirla come Winston Churchill, rimane un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma. Ma, ripeto, al netto di quella favola firmata Mancini e Vitali, per il resto è una Waterloo. E agli scranni più alti i volti son sempre gli stessi, manca giusto Antonio Matarrese, chissà che fine ha fatto. Però ecco, di base c’è che siamo scarsi. Ma tanto.

Aggiornato il 01 luglio 2024 alle ore 10:32