La recente sentenza della Corte di giustizia europea ha fatto finalmente cadere il monopolio sul calcio della Uefa e della Fifa che da sempre gestiscono uno dei business più importanti dell’industria del divertimento. Finalmente il vincolo sulla possibilità che gli investitori, da un lato gli azionisti delle società sportive e dall’altro gli spettatori paganti, siano liberi di operare nel settore senza che ci sia una gestione burocratica superiore che decide pro domo sua se autorizzare questa o quella operazione, è stato demolito, preparando la strada a sviluppi imprevedibili del settore. Qualsiasi monopolio non fa altro che bloccare l’iniziativa privata del singolo per un evidente interesse a gestire vantaggi ed economie che derivano da una posizione dominante nel mercato, inoltre impedisce o quantomeno rallenta l’innovazione anche perché il monopolista ritiene di non potere controllare gli esiti della presenza di un concorrente.
Il suo motto è pertanto “meglio dire che ne so che ne sapevo”, nella perversa speranza di non andare incontro ad un cambiamento potenzialmente pericoloso per la sua impresa. Pertanto il monopolista chiede o addirittura pretende che l’autorità pubblica impedisca l’ingresso nel mercato di un altro soggetto. Il presupposto ideologico di qualsiasi monopolio è quello di credere che la conoscenza sia centralizzata e concentrando il potere nelle mani di pochi si può assicurare una migliore performance sul piano economico. Niente di più sbagliato. La conoscenza è diffusa nella società stessa e per questo è impossibile che ci possa essere qualcuno che da solo, anche se dotato di grande intelligenza aumentata magari da mezzi informatici e tecnologici, abbia le capacità di allocare nel migliore dei modi le risorse che sono a disposizione.
Detto questo, qualsiasi impresa economica, ha il diritto di potere impiegare le proprie risorse come meglio crede, il successo nel mercato poi sarà determinato dal gradimento del consumatore, l’unico giudice della fortuna di un prodotto o di un servizio. Andrea Agnelli qualche anno fa in merito a questa vicenda affermava che “calciatori sono protagonisti, ma non hanno quasi nessun potere decisionale rispetto a impegni e calendari. Gli imprenditori o gli investitori si assumono il rischio, ma non possono determinare formati e regole d’accesso e incassano proventi tramite l’intermediazione di autorità terze. Gli organizzatori-regolatori non sono né protagonisti né imprenditori, ma gestiscono, incassano e determinano. Quando la crescita è costante, i problemi si nascondono, quando la disruption arriva, il cambiamento è inesorabile”. Una posizione condivisibile perché gli imprenditori spendono centinaia di milioni di euro per investire nei loro club ma non hanno voce in capitolo sull’organizzazione dei campionati e devono costantemente subire le decisioni di un gestore che regola e come dice lui “incassa”.
Come già avevo sostenuto ne Il solco delle libertà, con la prefazione di Corrado Sforza Fogliani edizioni Thule, nel 2021 in cui mi ero occupato della vicenda, la riuscita di una eventuale Superlega sta nella qualità che riuscirà ad esprimere sul piano dello spettacolo calcistico e dal contestuale gradimento del pubblico, che sarà libero di finanziarla come meglio crede: andando allo stadio, abbonandosi alla squadra o comprando azioni. Certamente non possiamo sancirne l’insuccesso, magari per decreto legge. Quello che potrebbe accadere è già successo nel calcio italiano nel luglio 1921. Infatti, quasi con le stesse motivazioni, la Confederazione calcistica italiana (Cci) organizzò un campionato parallelo a quello della Federazione italiana giuoco calcio, salvo poi arrivare ad una riappacificazione nel 1922 sulla base delle proposte delle Cci. In una società libera gli investitori, i creatori di ricchezza, le company, così come le singole persone hanno il diritto di associarsi per perseguire ognuno i propri fini ed il proprio utile e facendolo faranno il bene anche di altri che non partecipano direttamente alle loro scelte o imprese.
La società è frutto di azioni e relazioni intenzionali che producono effetti inintenzionali, limitare le scelte degli individui significa mortificare la libertà e la creatività dell’uomo, con un unico risultato come affermava Antonio Rosmini “spegnere la libertà personale, condizione e fonte della libertà civile e politica, siccome di ogni altra libertà. Promettesi pubblica felicità; ma questa poscia si ripone nella massima schiavitù”. Smantellare i monopoli, siano essi pubblici o privati, significa aprire innumerevoli possibilità di realizzare, costruire e restituire molto di più di quello che si è investito. E così a ben ragione George Joseph Stigler, premio Nobel per l’economia nel 1982 in Mercato, informazioni, regolamentazione ebbe a scrivere che “la proprietà privata trasforma la sabbia in oro, e nessuno si lamenta della perdita della sabbia e della presenza dell'oro” tranne quelli che vogliono lasciare agli altri la prima e tenersi il secondo.
Aggiornato il 12 gennaio 2024 alle ore 15:03