Alla fine del secolo scorso, durante le aste del Fantacalcio organizzate con gli amici (il che significava mettere a repentaglio le coronarie in questo gioco di società che ormai non riesco a scrollarmi di dosso, nonostante gli anni, una moglie e due figlie), quando arrivava il nome di Gianluca Lamacchi si fermava il mondo. Tutti facevano boccucce al cospetto di Lamacchi. Ma io no, perché il difensore di Bolzano era una garanzia. Sempre titolare e, soprattutto, con la sufficienza a vita. Insomma, un investimento sicuro.

Lamacchi, con un cesto di capelli invidiabile, ha rappresentato una delle colonne del Piacenza (tanti i compagni di squadra, da Dario Hubner a Sergio Volpi). In carriera, poi, ha anche vestito le maglie della Fidelis Andria, del Pescara, del Como e del Genoa. Ma non è tutto. Lui era una sicurezza, oltre che un tuttofare, ricoprendo i ruoli della difesa e del centrocampo (in mediana o esterno).

Da poco iscritto all’Università, ho vissuto qualcosa vicino al mistico. La stagione è quella 1998/1999 e dell’unico gol in serie A del nostro. E lo fa al 45’ del secondo tempo di un Piacenza-Perugia, sugli sviluppi di un calcio di punizione pennellato da Giovanni Stroppa. Due a zero per i padroni di casa (il raddoppio è di un giovanissimo Simone Inzaghi) e ciliegina sulla torta del capellone con successiva esultanza alla Marco Tardelli da parte del sottoscritto. Quel giorno, come ogni domenica, l’avevo messo in squadra.

Oggi, in giro, a difendere la propria area si vedono sempre più influencer e sempre meno mazze chiodate, nel senso buono del termine. Così, ogni volta che vedo ripartenze dal basso che terminano in arrosti bruciati, mi torna in mente Lamacchi. Il quale pare che, un giorno, abbia detto: “Dal calcio, comunque, ho avuto tutto”. Io, da lui, invece ho ricevuto spesso e volentieri un 6 fisso al Fantacalcio. E forse anche qualcosa di più.

Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 21:55