Ritratti. Il libero di provincia

L’olio canforato nelle fredde giornate invernali che viene spalmato sulle gambe in quantità industriali. E il finale che è il medesimo: bruciore fisso. Una scena che si ripete sempre, o perlomeno spesso, in uno spogliatoio allestito alla bene e meglio. Uno dei tanti sparsi in provincia, dove i campi spaziano dalla pozzolana al terreno duro-marmato, con variazioni estemporanee in erba sintetica. Ma quest’ultimo caso è meglio evitarlo, perché la palla è veloce e c’è da correre.

Dal suo osservatorio, ovvero qualche metro davanti al portiere, il libero di provincia scruta la partita. La sua ossessione è il calcio, i trofei vinti vanno ripescati in qualche album ormai impolverato. C’è il ricordo di un torneo estivo, quando la musica tunz tunz che echeggia dalla sagra detta il ritmo di un fantasista de noantri, che cerca di ipnotizzare il pubblico con giochi circensi ma che, puntualmente, finisce in terra, causa qualche calcione di troppo. Intorno, l’odore di salsicce e costolette che sale dalla brace contrasta con le ragazzette che, sedute sugli spalti stranamente gremiti, mostrano fiere le rispettive gonne (mini, o giù di lì). E la tattica va a farsi benedire. Perché il politicamente corretto ancora non esiste sul vocabolario.

Lo stile di questo personaggio non va a braccetto con il mondo reale. Sa poco o nulla di concetti quali “palla coperta”, “palla scoperta”, ripartenze (ma non erano contropiedi?), laterali (i terzini che fine hanno fatto? Uno era anche mio compagno di banco), diagonali (alle scuole medie in geometria me la cavavo). Vorrebbe sentirsi un eroe, non certo come quello cantato da Caparezza, ma qualcosa di simile. E invece è un alieno, con la panza che avanza alla stessa velocità di quel centravanti ormai a due passi da lui. Non è mai stato veloce, si è sempre salvato grazie alla posizione (dicevano quelli bravi) e a un particolare istinto di sopravvivenza, dettato più che altro dalla volontà di non finire investito dagli insulti di qualche muratore avvinazzato, il cui obiettivo è recarsi al campo sportivo dal vicino bar per sputare sentenze dopo una settimana decisamente faticosa.

Il libero di provincia sa che ci sono poche certezze nella vita. Una di queste è attribuita a Walter Samuel, The Wall, colonna argentina con sembianze umane, che più o meno fa così: “Quando un attaccante ti vuole umiliare con dribbling, veroniche e slalom, fagli sentire lo spessore dei tacchetti sullo stinco”. Minima spesa, massima resa. Nonostante gli studi e la sete di conoscenza, non ha la fortuna di essersi abbeverato con l’acqua del talento. In pochi gli parlano. E quei pochi dicono la stessa cosa: “Buttala via (la palla)”. Hanno fiducia, in quanto fedele soldato, ma non hanno stima delle capacità tecniche. E fanno bene.

In mezzo al guado, il libero di provincia, con le scarpette che affondano nel campo impregnato d’acqua e di sogni svaniti, fa due passi. Quelli giusti, quelli che dividono il tempo tra la scivolata, la sfera intercettata, le urla del malcapitato, qualcuno che si lamenta con un arbitro che, un giorno sì e l’altro pure, è cornuto. Il resto è un Carnevale di Rio, tra clacson festanti, scene di giubilo (sei sempre il solito cinghiale), l’allenatore che ride e uno squarcio sulla coscia di lì a qualche ora calmierato con l’aloe.

Il fischio finale, tra una gomitata e qualche promessa di rissa, diventa la liberazione. Il fiato è corto, la panza è sempre quella (poi dici che il sudore è un toccasana per il dimagrimento), la birra è l’unica cosa ragionevole. Tutto bello, fino a quando qualcuno sussurra “perché non passiamo alla difesa a zona, puoi fare il centrale”. E allora il libero di provincia torna al punto di partenza, ovvero fuori contesto, come chi non sa che al Festival di Sanremo tra i vincitori c’è pure Giò Di Tonno (insieme a Lola Ponce). A quel punto, non gli resta che andarsene via prima di subito. Nell’unico modo che conosce ma che, ancora oggi, lo fa godere: palla lunga e pedalare.

Aggiornato il 03 dicembre 2022 alle ore 08:36