This is Anfield

È una storia che parte da lontano. Ma che, tra corsi e ricorsi, torna sempre nello stesso punto. Ovvero nel Merseyside, a Liverpool, città che ha come simbolo il liver bird – uccello mezzo cormorano e metà aquila, con un rametto di ginestra tenuto nel becco – che si può ammirare sopra le due torri del Royal Liver Building.

È il 1892 quando comincia il rapporto simbiotico e viscerale tra i reds, i tifosi e uno degli stadi più antichi del mondo, che prende il nome da una spianata costeggiata da una strada, Anfield Road. L’impianto nel tempo diventa una fortezza, terra di passaggio per eroi (Steven Gerrard), bidoni (Loris Karius) e meteore (Stan Collymore).

La gloria agli dei è consacrata tra gli anni Settanta e Ottanta, con quattro Coppe dei Campioni (sei nel palmares complessivo), due Coppe Uefa (tre totali), una Supercoppa europea (quattro in bacheca), dieci titoli in Premier (su 19), due Coppe d’Inghilterra (su 7), quattro Coppe di Lega (su 8), cinque Charity Shield (su 15). Roba forte, che ha come teatro una città marittima di nemmeno 600mila abitanti, dove negli anni Cinquanta chiusero diverse fabbriche e una popolazione scesa nel 1985 a 460mila abitanti. Eppure, a quella gente viene dato un modo per sognare e uscire fuori dal precariato quotidiano, nonostante la crisi del 1970 (l’arrivo di container per lo stoccaggio di materiali che, di fatto, sferrano il colpo del ko al bacino di Seaforth, ormai inutilizzato) e gli scontri di Toxteth Riot nel 1981 con il lancio di gas lacrimogeni da parte della polizia contro i manifestanti (The summer Liverpool burned).

Prima dell’uscita dal tunnel che porta al campo c’è una frase di WilliamBillShankly, scozzese, allenatore più amato a queste latitudini: “It is there to remind your lads who they’re playing for, and to remind the opposition who they’re playing against”. Che si può sintetizzare così “è lì per ricordare ai nostri ragazzi per chi stanno giocando, e ricordare agli avversari contro chi stanno giocando”. A fianco un simbolo, che tutti toccano come un oracolo. Là fuori trovi la Kop, il cuore del tifo, che intona “We’ll never walk alone” di Gerry and the Pacemakers. Il resto è poesia. O, se vogliamo, è lo stretto necessario.

Questo è tutto, this is Anfield.

Aggiornato il 04 dicembre 2022 alle ore 09:45