Corre l’anno 2006. È marzo, la Juve più avanti verrà spedita in serie B e l’Italia, a luglio, conquisterà i Mondiali di calcio in Germania, ma ancora nessuno lo sa. Demetrio Albertini, colonna del Milan, dà l’addio al calcio. Partita a San Siro – che a ben vedere è più una Hall of Fame – tra i rossoneri e il Barcellona. Un menu ricco di stelle e talento, quindi spettacolo assicurato. La partita finisce 3-2 per i “diavoli”. Nel tabellino dei marcatori scrive il proprio nome un centravanti costretto, nel 1995, ad appendere gli scarpini al chiodo per colpa della mala sorte. E di caviglie martoriate. Il tuffo di testa sotto la Fossa dei Leoni con la sfera che si insacca alle spalle del portiere è una rivincita, in parte, contro il destino. Qualcuno si commuove, altri ammirano in silenzio mentre il 41enne ancora sfoggia un sorriso smagliante. Forse il tempo si è fermato, forse no. Però tutti sono in piedi, imbambolati, al cospetto di Marco Van Basten, il cigno di Utrecht.

Nato nel 1964 nella città olandese che vanta una antica parte medioevale, è senza dubbio uno dei più forti giocatori di ogni tempo. Nell’autobiografia “Fragile” (Mondadori) Van Basten ha ripercorso la sua vita, dai primi passi con il pallone agli interventi chirurgici, fino alla ricerca di una esistenza felice, senza scordare il rapporto con Johan Cruijff, la cura per i particolari e i drink ma solo durante le vacanze.

In 345 pagine scorre un condensato di emozioni, come quando a 7 anni vede l’amico Jopie morire davanti ai suoi occhi: “Andò lui per primo, stringevamo entrambi la corda. E quando arrivò a otto, nove metri dalla riva sprofondò all’improvviso nel ghiaccio. Ma si spaventò a tal punto da mollare la corda. Scivolò immediatamente giù, sparendo in un attimo, nell’abisso. Quel giorno portava un berretto come quello del campione di pattinaggio Ard Schenk, blu con una striscia bianca al centro e due rosse ai lati. Il berrettino galleggiava sull’acqua, me lo ricordo tuttora con precisione”.

Un percorso “verso il vertice assoluto” quello dell’indimenticabile numero nove, da “ragazzino timido di 6 anni” ai successi: “Per la prima volta penso addirittura di avere qualcosa di interessante da rivelare agli altri”. Anche cose intime, come quando cammina carponi sulle mattonelle per andare al bagno, con il dolore lancinante che non viene mitigato dagli antidolorifici. Un viaggio “bizzarro” con tutti i guai, annessi e connessi, illustrato da un uomo ormai ultracinquantenne. Una strada tortuosa, che va dall’essere celebrato da tutto mondo fino allo sprofondare “in una fogna”. Con una consapevolezza: “Posso affermare che è un peccato che dal primo giorno non abbia detto finché ho male, non gioco, perché in quel caso avrei sicuramente potuto prolungare la mia carriera senza tutte quelle seccature. Ma so che rifarei tutto allo stesso modo”.

Già, perché Marco Van Basten è quello del balletto in faccia a Pasquale Bruno, dei quattro gol al Goteborg, delle 125 reti in 201 presenze con il Milan, delle 128 marcature in 133 gare con l’Ajax, della Scarpa d’Oro (1986), dei tre Palloni d’Oro (1988, 1989, 1992), degli scudetti con i rossoneri, le Coppe Intercontinentali (2), le Coppe dei Campioni (2), le Supercoppe Uefa (2), le Supercoppe italiane (2), la Coppa delle Coppe e i tre scudetti con i Lancieri di Amsterdam, le coppe d’Olanda (3). Sempre decisivo, ma è quasi superfluo ricordarlo.

Chiude con il calcio a 30 anni. Nel libro delinea le tappe “prima e dopo il grande buio che si è impossessato del suo corpo, salendo implacabile dalle caviglie” fino alla battaglia esistenziale, per recuperare la normalità “dopo essere stato eccezionale”, unico, inimitabile, eterno. In sintesi, Marco Van Basten.

(*) Marco Van Basten, “Fragile. La mia storia”, Mondadori

Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 17:44