Ivanov: the bulgarian wolf

C’è stata una generazione di fenomeni – “tutti eroi”, direbbero gli Stadio – che, in ogni stadio, hanno disegnato calcio. Fino al punto massimo, il 1994, quando i Soundgarden illuminavano le giornate con Black Hole Sun ma, soprattutto, anno dei Mondiali negli Usa. Era la Bulgaria di Hristo Stoichkov, Jordan Letchkov, Emil Kostadinov, Krasimir Balakov. Ad abbattere il tornado alimentato dai magnifici quattro, ci pensò un eroe silenzioso, meglio noto come Roberto Baggio. Ma questa è un’altra storia.

Il punto è altrove: la macchina da guerra dell’Est non aveva solo scolari primi della classe. Nel cuore della spina dorsale, primeggiava un tizio più vicino al mondo del trash metal che a quello del pallone. Taglio di capelli improponibile, pelo in bella vista, fisico inossidabile cresciuto a chili di Banitza. Insomma, chi è rimasto indietro con le lezioni, sappia che è finita la ricreazione. Perché è l’ora di Trifon Ivanov.

Contro un mondo contemporaneo intriso di tatuaggi, con giocatori tutti uguali, marchiati con lo stampino, pronti a fotografarsi a torso nudo negli spogliatoi, il barbuto numero 3 entrerebbe a gamba tesa. Sarebbe musica per le orecchie di chi ha sviluppato capacità critica leggendo i manuali di pane e gomitate firmati da Pasquale Bruno. Roba blasfema oggi, dove sei sanzionato al minimo contrasto. Si stava meglio quando si stava peggio, direbbero nei peggiori bar di quartiere tra una briscola e un bicchiere di vino allungato con la spuma bianca.

Un orgasmo puro per chi, oggigiorno, tocca con mano l’assenza degli anni Novanta, periodo segnato da camicie di dubbio gusto, dove era un dogma il rispetto sacro della virilità maschile. Così, di conseguenza, sale la nostalgia di Trifon Ivanov, pace all’anima sua. Difensore abituato a spedire la palla nel parcheggio dello stadio, si è permesso il lusso di spernacchiare gli esteti. Infatti, nel 1996, è stato premiato in Patria come calciatore dell’anno. Uno su mille ce la fa, questo insegnava “the bulgarian wolf”.

Jorge Luis Borges ha detto: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”. Trifon, che cinque anni fa è stato stroncato da un infarto, sicuramente sarebbe d’accordo. E con un’entrata ai tendini di Achille firmerebbe il suo autoscatto. Poi Ivanov è arrivato anche ventiduesimo nella classifica del Pallone d’oro, nonostante fosse esperto nel raccogliere le ossa di centravanti ogni volta che giocava. Questa sì che è storia, mica quella di Instagram.

Alla faccia del selfie.

Aggiornato il 04 dicembre 2022 alle ore 09:41