La faccia pulita, il vizio del gol apparentemente facile, un Tango per pallone, come quello che portavamo in spiaggia perché più funzionale del Super Santos, leggero e troppo “condizionato” dalle folate di vento. E soprattutto un ragazzo come noi: questo era Paolo Rossi, centravanti goleador della Nazionale italiana che nel 1982 salì sul tetto più alto del mondo, in un torneo condito da polemiche, chiacchiere, spifferi. La squadra si compattò intorno al mister Enzo Bearzot: dopo un inizio stentato, la cavalcata trionfale decisa da uomini veri, gente senza tatuaggi e auricolari, che parlava sul campo e non sui social.

Questa era la lingua di Paolo Rossi detto Pablito, uno che chiacchierava poco ma che faceva male quando alzava la voce a lui più congeniale. Un rapace dell’area di rigore, un Filippo Inzaghi ante litteram che allo stesso tempo forniva il proprio contributo alla causa. Un atleta vincente, dentro e fuori i confini italiani, con la maglia della Juventus. Un cecchino che ha fatto sognare la provincia (Vicenza). Il vicino della porta accanto, il poster che tutti avevano in camera, un eroe.

Paolo Rossi è morto a 64 anni, sconfitto da un male incurabile. Ad annunciare la notizia, su Facebook, è stata la moglie Federica: “Non ci sarà mai nessuno come te, unico, speciale, dopo te il niente assoluto”. Si era alzato tante volte nella sua vita quel giovanotto nato a Prato, in Toscana, capace di conquistare a suon di gol il Pallone d’oro. Finito nel vortice del calcio scommesse, è stato squalificato due anni in sede di giustizia sportiva e assolto dalla giustizia ordinaria. Poi il riscatto: la tripletta al Brasile, la doppietta alla Polonia, e la zampata alla Germania in finale. Immagini scolpite nel tempo, in sottofondo la telecronaca dell’intramontabile Nando Martellini: “Oriali, battuta la punizione, il cross di Gentile... gol, ha segnato... Rossi”. Dopo i successi agli ordini della Vecchia Signora, indossò i colori di Milan e Verona. Appesi gli scarpini al chiodo, aprì un agriturismo in provincia di Arezzo e continuò ad apparire in televisione, nelle vesti di commentatore.

Un cammino tra discese e rivincite, volato in un batter di ciglia. O meglio in un attimo, quell’attimo che Paolo Rossi ha raccontato nell’autobiografia scritta a quattro mani, insieme alla compagna, dove ha confessato: “Ho anche pensato di lasciare l’Italia e smettere di giocare. Mi ha salvato la consapevolezza di essere innocente”. Così diceva questo figlio del Secondo dopoguerra, faccia pulita, con il vizio del gol apparentemente facile, un Tango per pallone, come quello che portavamo in spiaggia perché più funzionale del Super Santos, leggero e troppo “condizionato” dalle folate di vento. In poche parole, un ragazzo come noi. Ciao bomber.

Aggiornato il 03 dicembre 2022 alle ore 08:58